Emergono nuove rivelazioni in merito agli attacchi dell’11 settembre 2012 che costarono la vita a quattro cittadini americani e all’ambasciatore degli Stati uniti Christopher Stevens a Bengasi in Libia. L’attentato, meglio sarebbe dire l’agguato, aprì la strada allo scontro a Washington tra Casa bianca e repubblicani sulle condizioni di sicurezza dei diplomatici statunitensi nei paesi coinvolti dalle rivolte e sotto tiro finì Hillary Clinton. Alla fine la diatriba è culminata con la rimozione dell’ambasciatore Anne Patterson al Cairo per il sostegno che il diplomatico aveva accordato agli islamisti prima del colpo di stato del 3 luglio 2013 in Egitto.

Secondo l’inchiesta del New York Times, non sarebbe stato soltanto il video blasfemo sulla vita di Maometto, come sostenuto in un primo momento dalla Casa bianca, a causare il grave attentato. Secondo queste rivelazioni di stampa, neppure il coinvolgimento di al Qaeda sarebbe confermabile poiché l’attacco avrebbe avuto luogo in un momento in cui il movimento terroristico internazionale era «debole e frammentato». Non solo l’attacco non sarebbe stato spontaneo ma parzialmente pianificato. Dal report dell’autorevole giornale statunitense emerge che l’esplosione sarebbe stata messa in atto da combattenti che avevano beneficiato del sostegno diretto della Nato e della Cia durante le rivolte che hanno portato alla deposizione del colonnello Muhammar Gheddafi nel 2011. E così l’agguato sarebbe stato solo alimentato in un secondo momento dall’anti-americanismo generato dal video blasfemo. Viene messo poi in discussione il ruolo di Ahmed Abu Khattala, arrestato per aver pianificato l’attentato. L’islamista ha sempre negato il ruolo attribuito nell’attacco al gruppo jihadista Ansar al Sharia, considerato come appartenente alla miriade di sigle vicine al terrorismo internazionale. Secondo l’inchiesta, l’attacco di Bengasi è un grave fallimento per l’intelligence degli Stati uniti. In particolare, gli agenti della Cia avrebbero sottovalutato il ruolo delle milizie nella Libia del post-Gheddafi, considerando gli insorti che avevano spinto per un intervento armato internazionale come dei sicuri alleati, anche perchè addestrati dall’Occidente.

Le milizie armate continuano a diffondere instabilità nel paese, mentre si aggrava la piaga dei rapimenti. Un uomo e un bambino sono stati rapiti domenica nel distretto al Fuwaihat a Tripoli. Gaith Omran Al-Garyani e suo figlio sono stati avvicinati da un uomo armato e mascherato. Altri due diversi rapimenti hanno avuto luogo a Bengasi negli ultimi due giorni. Particolarmente grave è la notizia che quattro uomini a volto coperto hanno rapito sempre a Bengasi, il figlio di Mohammed al-Mazoghi, direttore del noto quotidiano Kalima. Mentre precarie sono le condizioni di sicurezza nei complessi petroliferi e del gas nella Libia occidentale, vicino ai giacimenti (anche dell’Eni) di al Mellitah dove sono riprese le attività di estrazione in questi giorni. Secondo le autorità di polizia locali, un cittadino britannico e una donna neozelandese sono stati uccisi domenica scorsa: erano insegnanti a Tripoli, i loro corpi sono stati ritrovati nella periferia di Sabratha. Appena lo scorso mese nel Paese era stato ucciso un insegnante americano.