A un anno dall’asilo politico concesso a Julian Assange, il governo ecuadoregno torna a farsi sentire con quello britannico. Quito chiede a Londra di trovare «una soluzione dignitosa per tutte le parti interessate» basata sul diritto internazionale: ovvero la concessione di un salvacondotto che consenta al fondatore del sito Wikileaks di lasciare l’ambasciata ecuadoriana a Londra, dove ha trovato rifugio il 19 giugno del 2012. Il 16 agosto, il governo del socialista Rafael Correa gli ha concesso l’asilo politico, ma Londra ha continuato a presidiare le uscite della sede diplomatica, pronta a estradare in Svezia il quarantunenne attivista australiano, accusato di violenze sessuali che ha sempre negato. L’Ecuador gli ha concesso rifugio e asilo per il timore che la Svezia possa estradarlo negli Stati uniti, dove sarebbe processato per aver divulgato lo scandalo cablogate.
Wikileaks ha iniziato a diffondere migliaia di documenti diplomatici confidenziali che rivelavano traffici di guerra e violazioni del governo Usa: informazioni trasmesse al sito dal soldato Bradley Manning, ancora sotto processo nel Maryland, e a rischio di una pesantissima condanna. L’Ecuador ha ribadito l’importanza attribuita «all’asilo politico come istituzione umanitaria, pacifica, apolitica e assistenziale», ma Londra ha respinto «tutti gli sforzi» tentati dalla diplomazia ecuadoriana per risolvere la situazione. Nel giugno scorso, il ministro degli Esteri ecuadoregno, Ricardo Patiño ha incontrato a Londra il suo omologo britannico, William Hague, con il quale ha deciso la formazione di un gruppo di lavoro specifico sulla situazione di Assange. In quell’occasione, Hague ha però dichiarato che Assange rischia di rimanere nell’ambasciata ecuadoregna fino al 2022, quando scadrà la richiesta di estradizione. L’esplosione del caso Edward Snowden – l’ex consulente Cia che ha rivelato lo scandalo delle intercettazioni illegali messo in campo dagli Usa ma ben gradito anche dall’intelligence londinese – ha però increspato ulteriormente le acque diplomatiche fra i due paesi. Assange e Wikileaks hanno offerto supporto legale e concreto alla talpa del datagate in fuga, bloccato dal 23 giugno al terminal dell’aeroporto moscovita di Sheremetievo e infine accolto come rifugiato temporaneo in Russia. Insieme a Venezuela, Bolivia e Nicaragua, l’Ecuador ha subito dichiarato che avrebbe concesso asilo politico anche a Snowden. Gli Stati uniti hanno fatto fuoco e fiamme, imposto qualche sanzione commerciale a Quito, e lanciato un messaggio intimidatorio ai presidenti progressisti bloccando a Vienna l’aereo presidenziale del presidente boliviano Evo Morales, di ritorno da Mosca. Una prepotenza che ha suscitato indignazione generale in America latina: proteste acuite dalle rivelazioni di Snowden circa l’entità dello spionaggio illegale messo in atto nel continente dalle agenzie della Cia. In quell’occasione, Assange ha espresso il timore che i servizi segreti volessero avvelenargli il cibo per poterlo rapire durante il trasporto in ospedale. Ha ripetutamente definito Snowden «un eroe» e ha di recente sostenuto che l’annuncio del presidente nordamericano Barack Obama in merito alla limitazione del programma di vigilanza segreta del governo è dovuto alla coraggiosa denuncia della talpa del datagate.
Nel suo immediato futuro, Assange vede una possibile elezione a senatore. Il prossimo 7 settembre si presenta alle elezioni in Australia insieme ad altri sei candidati del neonato Partito Wikileaks. E ritiene di avere molte possibilità di essere eletto: «Secondo diversi sondaggi – ha dichiarato – risulta che otterrei tra il 25 e il 28% delle intenzioni di voto, e il 40% di coloro che hanno meno di trent’anni».