Vertenza latte sempre calda. Nuovo assalto armato ieri a Nule, in provincia di Sassari. Vittima un camionista che trasportava latte verso un caseificio. Intorno alle 6 del mattino l’autotrasportatore percorreva la provinciale numero 7. All’improvviso sono saltati fuori da una cunetta due uomini armati e con i volti coperti che minacciando il camionista con le armi, lo hanno obbligato a scendere dall’autocisterna, lo hanno legato a un albero e lo hanno costretto a guardare mentre versavano sul terreno migliaia di litri di latte. Poi il camion è stato dato alle fiamme. I due sono fuggiti e il camionista ha dato l’allarme. Sul posto sono arrivati i vigili del fuoco, che nel giro di un’ora hanno spento l’incendio e messo in sicurezza la zona.

L’episodio, molto grave, non ha niente a che fare con la lotta dei pastori, che è un movimento spontaneo e pacifico. Come dimostra anche la gara di solidarietà tra gli allevatori che ieri è partita nei confronti dell’autista dell’autocisterna assaltata. I pastori del Nuorese e del Goceano (tra Sassari e la Barbagia) hanno offerto all’autista aggredito 100 litri di latte a testa per l’acquisto di un nuovo mezzo, in modo che possa riprendere al più presto il lavoro.

«Condanniamo con fermezza – spiegano i pastori – il vile atto compiuto a Nule da stupidi balordi ai danni di un lavoratore assolutamente incolpevole con il chiaro intento di turbare le trattative in una vertenza già di per sé complessa». Chi ha interesse a criminalizzare una protesta pacifica? Certamente non i pastori. E’ allarmante ciò che dice la Coldiretti in un suo comunicato: «Secondo noi, i due che hanno bruciato il camion a Nule non sono pastori». Chi sono, allora?

L’episodio di ieri è accaduto poche ore prima che si aprisse, in prefettura a Sassari, un nuovo tavolo di trattativa sul prezzo del latte e nello stesso giorno in cui, dopo la vittoria alle regionali, Matteo Salvini ha annunciato una sua visita, per oggi, in Sardegna: per festeggiare con il neo governatore Christian Solinas l’affermazione elettorale e per fare il punto sulla vertenza latte. Dopo sei ore di trattativa, dal tavolo di confronto tra pastori e industriali è uscito un verbale per dire soprattutto che il prezzo del latte per ora rimane a 72 centesimi al litro. Sarà poi il prezzo sul mercato del pecorino romano – che ieri le parti hanno fissato a 6 euro al chilo – a orientare il rialzo del prezzo del latte, in attesa che diventino realtà i fondi – in totale 50 milioni di euro – messi a disposizione dal governo e dalla Regione per il ritiro del formaggio in eccedenza.

«Qualche passo avanti è stato fatto – ha commentato Gianuario Falchi per il movimento dei pastori – Intanto è stato stabilito che il prezzo del latte sarà legato a quello del formaggio, prezzo che già adesso sta riprendendo quota. Non abbiamo chiuso nessun accordo, sia chiaro. Il 7 marzo si vedrà il prezzo del formaggio, e in base a quello stabiliremo quello del latte, che sarà verificato di mese in mese. Stiamo parlando di un prezzo di acconto, che sarà saldato a novembre in base all’andamento delle vendite del pecorino romano. E il saldo riguarderà anche i mesi di novembre e dicembre 2018, gennaio e febbraio 2019. Si va avanti a piccoli passi, ma c’è una significativa apertura degli industriali». Insomma, un piccolo progresso, in attesa di una nuova verifica il 7 marzo, sempre in prefettura a Sassari.

Oltre la cronaca, per capire che cos’è davvero la rivolta dei pastori, bisognerebbe allargare lo sguardo dalla Sardegna all’Europa. E dall’Europa al mondo. Non solo nell’isola per i pastori, ma in tutto il pianeta le filiere alimentari sono fortemente squilibrate a favore degli industriali e della grande distribuzione, strutturate in modo da non garantire ai piccoli produttori una remunerazione adeguata e neppure la copertura dei costi di produzione. In Europa i fondi pubblici della Politica agricola comune (Pac), che impegna il 39% del bilancio dell’Ue ed è prevista dal trattato istitutivo, dovrebbero essere spesi in maniera molto diversa da come accade oggi. Gli investimenti andrebbero orientati verso misure che garantiscano il reddito dei piccoli produttori e delle comunità rurali, e non il profitto degli imprenditori della trasformazione. Come in Europa (come in Sardegna), in tutto il mondo i piccoli produttori sono sotto scacco degli industriali che trasformano i loro prodotti e delle grandi catene di distribuzione che li vendono. La sinistra dovrebbe stare dalla loro parte.