Lunedì nello stato di Imo, nel sud-est della Nigeria, un convoglio di autobus di una società contractor della Shell è stato attaccato da un imprecisato numero di uomini che hanno iniziato a sparare contro i mezzi della compagnia petrolifera. Sei operai e un poliziotto sono rimasti uccisi in quella che è sembrata una vera a propria imboscata. La polizia locale ha subito puntato il dito contro l’Ipob (Indigenous People of Biafra) e il suo braccio armato l’Eastern Security Network, attivo in tutto il delta del Niger e in forte agitazione dopo l’arresto di fine giugno del leader Nnamdi Kanu. Il movimento che lotta per i biafrani non ha però rivendicato questo sanguinoso attacco, come non lo ha fatto nessuno dei gruppi armati che agiscono nel turbolento sud-est nigeriano. Più cauta la voce ufficiale del gigante petrolifero con base in Olanda, che per ora parla di attacco da parte di sconosciuti. La polizia e il governo centrale di Abuja considerano l’Ipob e l’Eastern Security Network un movimento illegale e terroristico.

Lo stato di Imo non è nuovo ad attentati alle istallazioni petrolifere o al personale che vi lavora, anche se normalmente vengono rapiti dirigenti ed operai per ottenere riscatti, un modus operandi di molti gruppi criminali della regione. Un fatto indubbiamente rilevante riportato da Al Jazeera è che proprio lunedì il presidente della Nigeria Muhammadu Buhari ha siglato un nuovo e importante accordo con le grandi multinazionali del petrolio e del gas. Un accordo che però non è piaciuto alle popolazioni che vivono nel ricchissimo delta del Niger e che da decenni vengono avvelenate senza che questa ricchezza porti loro alcun vantaggio. Chi si è battuto per evitare la completa distruzione del sud-est del paese come il popolo Ogoni, un gruppo etnico della stato di Rivers, ha già subito la violenza e la persecuzione del governo centrale e ha visto il suo uomo simbolo, il poeta e scrittore Ken Saro-Wiwa, impiccato insieme ad altri otto attivisti solo per aver combattuto al fianco del proprio popolo.