Come previsto il presidente siriano Assad ha vinto le elezioni: dei 250 seggi parlamentari 200 sono andati alla lista National Unity, coalizione del partito Baath e movimenti minori. Secondo il capo della Commissione elettorale al-Shaar «di 8.834.994 aventi diritto al voto, oltre 5 milioni hanno espresso la loro preferenza».

Nessuno, al di fuori della Siria, però riconosce il round elettorale: gli Stati Uniti avevano annunciato il loro rifiuto qualche giorno fa, l’Onu si è unita al coro domenica. Contrarie, ovviamente, anche le opposizioni. Che ieri da Ginevra hanno minacciato di abbandonare il negoziato: «Potremmo sospendere la nostra partecipazione se le cose proseguiranno in questo modo e se non ci sarà prospettiva per una soluzione politica», ha detto l’Alto Comitato per i Negoziati.

Non solo: Jaish al-Islam, gruppo salafita invitato a Ginevra, ha invitato le milizie armate anti-Assad a «colpire il regime al collo, colpirlo ovunque». Dopo le critiche, il leader del gruppo Alloush ha ritrattato. Ma poco dopo altri dieci gruppi hanno emesso un comunicato stampa: pronti ad attaccare il governo come risposta alle violazioni della tregua.

Il negoziato si rivela ancora una volta inutile, alla luce degli scontri ad Aleppo: 22 i civili uccisi secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, 6 dai raid del governo e 16 da missili e cecchini dei gruppi armati di opposizione.

Gli scontri sul terreno non sono che lo specchio delle fratture a livello diplomatico: le opposizioni vogliono la testa di Assad e si dicono pronte ad accettare un governo di transizione solo con dei tecnici del partito Baath; Damasco non intende cedere sul destino del presidente, nell’idea che a definirlo dovranno essere le future elezioni presidenziali.