Negoziato o guerra: è il messaggio del presidente siriano Assad alle Forze democratiche siriane, federazione multietnica impegnata nel nord nel progetto di confederalismo democratico e nella lotta all’Isis.

«Abbiamo aperto porte al negoziato perché sono siriani e, suppongo, non intendono essere marionette di nessuno straniero – ha detto in un’intervista a Rt – Altrimenti libereremo quelle aree con la forza. Gli americani devono andarsene».

È questo il cuore dell’intervento, diretto (più che alle Sdf) a Washington: impara la lezione dell’Iraq e lascia la Siria. In mezzo finiscono i curdi, già in corso di massacro da parte turca ad Afrin, che hanno sempre mantenuto le distanze sia dal governo che dalle opposizioni. Ieri hanno risposto: un intervento militare «porterà solo altra distruzione», dice il portavoce Sdf Gabriel

Molti criticano la scelta di appoggiarsi agli Usa, per altri era l’unica difesa possibile. Ma i curdi sanno che il tradimento è questione di tempo: Usa e Turchia stanno concordando la creazione di un’amministrazione militare congiunta a Manbij e la cacciata dei curdi da una delle città simbolo della lotta all’Isis.