Alla vigilia della riunione all’Aja del Consiglio esecutivo dell’Opac, l’organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, sull’adesione di Damasco alla Convenzione del 1993, e mentre proseguono a ritmo serrato all’Onu le consultazioni sulla nuova risoluzione sulla Siria, Bashar Assad ha confermato il possesso di armi chimiche, dicendosi pronto a distruggerle. Allo stesso tempo ha negato e con forza che l’Esercito ne abbia fatto uso contro i ribelli e i civili. Sull’impegno di Damasco esprime un giudizio incerto lo stesso presidente russo Putin, alleato di ferro della Siria, che ieri ha ammesso di non poter essere sicuro al 100% che il governo siriano rispetti l’accordo per la distruzione delle armi chimiche sebbene gli ultimi sviluppi ispirino una certa «fiducia». Ma, ha aggiunto, «E’ prematuro discutere di cosa fare se il governo siriano non rispetterà l’accordo per la distruzione delle armi chimiche. Se non lo farà, esamineremo la questione».

Putin comunque appoggia la tesi di Assad che siano stati i ribelli e non le truppe governative a far uso delle armi chimiche lo scorso 21 agosto a Ghouta (Damasco). Ci sono «tutti i motivi per supporre un’abile provocazione» dietro l’attacco anche se è stata «primitiva la tecnica di esecuzione», ha affermato il presidente russo. Assad da alcuni giorni, da quando è stato sospeso l’attacco Usa al suo Paese, è impegnato in una offensiva mediatica diretta ad americani ed europei.

«Credo – ha detto Assad alla tv americana Fox News – che (la distruzione dell’arsenale chimico) sia un’operazione molto complessa, che richiede molto denaro: attorno al miliardo». Quanto al calendario ipotizzabile per «sbarazzarsi di queste armi», Assad ha previsto che «ci vorrà un anno, forse un po’ di più». Il presidente siriano non ha rinnegato in alcun modo gli obblighi previsti dal recente accordo russo-americano sul disarmo chimico del suo Paese e si è detto pronto fin d’ora a trasferire l’intero arsenale non convenzionale siriano a qualunque Paese disposto a prenderlo in consegna e a stoccarlo. Più di tutto ha respinto ancora l’accusa che siano state le forze governative a seminare la morte a Ghouta nell’attacco chimico denunciato il 21 agosto o in altre azioni simili. Attacchi che ha imputato ai “terroristi”, ossia i ribelli. La Siria, ha proseguito, non sta vivendo «una guerra civile» bensì con un attacco condotto «da decine di migliaia di jihadisti» di 80 nazionalità diverse: legati «all’80%, alcuni dicono al 90%», all’ideologia di al Qaida e delle sue affiliazioni. Ai ribelli il presidente ha attribuito l’uccisione – in due anni di attacchi terroristici, assassinii e attentati suicidi – di almeno 15.000 soldati e di decine di migliaia di civili siriani. Non ha fatto invece riferimenti ai massicci bombardamenti governativi, aerei e di artiglieria, che in questi due anni hanno ridotto in macerie intere aree della periferia di Damasco, oltre a quartieri Aleppo e Homs e di altre città e villaggi, con un alto numero di vittime civili.

Ieri 14 siriani sono rimasti uccisi in attentati contro due autobus vicino a Homs. Nove persone sono morte quando un ordigno è stato fatto esplodere al passaggio di uno degli autobus sulla strada tra Homs e Masyaf, precisa l’agenzia. Mentre un razzo ha colpito un altro automezzo tra i villaggi di Akrad al Dasniyeh e Al Heisa uccidendo il conducente. Secondo l’Osservatorio siriano per i Diritti Umani, con base a Londra e vicino all’opposizione, le 14 vittime sarebbero alawiti, quindi appartenti alla stessa comunità religiosa di Assad e membri, almeno in parte, alle “Forze di Difesa nazionale”, un gruppo paramilitare lealista. Intanto mentre le truppe governative hanno ottenuto nuovi successi intorno a Damasco riuscendo a riprendere le località strategiche di Deir Salman e Shebaa, a Ghouta Est, le milizie anti-Assad si combattono tra di loro per il controllo del villaggio strategico di Azaz, nel nord della Siria. Le ultime notizie riferiscono di una controffensiva dell’Esercito libero siriano (l’ala armata della Coalizione nazionale) contro i qaedisti che in precedenza avevano conquistato la località.

Aumenta anche la presenza, già stimata in molte centinaia, di jihadisti europei nelle file degli anti-Assad. Il ministro dell’interno francese, Manuel Valls, ieri ha detto ai microfoni di France Inter che «Più di 130 francesi o residenti in Francia», spesso vicini agli ambienti islamici più radicali, combattono attualmente in Siria.