Aspettativa di vita in calo per il secondo anno
L’indice dello sviluppo umano calcolato dall’Onu si riduce ulteriormente per il 40% dei Paesi e globalmente torna ai livelli del 2016. L’Italia nel 2021 ha recuperato rispetto al 2020, ma le criticità ci riguardano
L’indice dello sviluppo umano calcolato dall’Onu si riduce ulteriormente per il 40% dei Paesi e globalmente torna ai livelli del 2016. L’Italia nel 2021 ha recuperato rispetto al 2020, ma le criticità ci riguardano
Ogni anno, un rapporto stilato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) rileva lo stato di salute delle nostre società attraverso l’Indice dello sviluppo umano. L’edizione 2021/2022 presentata ieri lancia un allarme epocale: nel 2021 l’indice dello sviluppo umano globale è diminuito per il secondo anno consecutivo. Dall’anno 1990, quando è stato misurato per la prima volta, l’indice non aveva mai smesso di crescere prima dell’arrivo della pandemia e il trend di declino descrive un pianeta alle prese con difficoltà davvero inedite. Il rapporto punta l’indice sulle numerose crisi che si sovrappongono a partire dal Covid-19, dal clima e dalla guerra, e sulla difficoltà a trarne una lezione per uscirne. Con molte analisi a cui la politica italiana farebbe bene a prestare attenzione.
PER CALCOLARE L’INDICE dello sviluppo umano di ciascun Paese, gli esperti dell’Onu combinano l’aspettativa di vita, il livello di istruzione e il Pil pro-capite (corretto secondo il livello dei prezzi). Nel 2020, soprattutto a causa della pandemia di Covid-19, l’indice era già calato per l’87% dei Paesi membri. Ma per il 40% dei Paesi il ribasso è proseguito nel 2021, con un aumento delle disparità. Tra i Paesi con un indice «molto elevato», solo un terzo lo ha visto calare nel 2021. Al contrario, la diminuzione ha riguardato il 60% di quelli con uno sviluppo «medio-basso». Nel complesso, l’indice globale nel 2022 è tornato ai livelli del 2016. L’Italia si trova nel gruppo fortunato e nel 2021 ha recuperato rispetto all’anno precedente. Ma le criticità evidenziate nel rapporto sono un dito infilato anche nelle nostre piaghe.
«IL MONDO SI SFORZA di rispondere alle crisi che arrivano una dopo l’altra. Ma come nel caso del costo della vita o della crisi energetica, se da un lato vi è la tentazione di concentrarsi su una risposta rapida, come i sussidi per i combustibili fossili, questa strategia ritarda i cambiamenti sistemici di lungo periodo che dobbiamo compiere», dice Achim Steiner, responsabile del programma Onu per lo sviluppo.
«Viviamo una paralisi collettiva che impedisce di fare questi cambiamenti. In un mondo caratterizzato dall’incertezza, è necessario un rinnovato senso di solidarietà globale per affrontare le sfide che abbiamo di fronte e che si intrecciano tra loro». Pandemia, clima, guerra, inflazione e siccità sono le diverse facce di un’unica crisi strutturale a cui nessuno sembra voler rispondere. Tamponarle singolarmente appare velleitario, perché la soluzione dell’una alimenta l’altra. La transizione ecologica, ad esempio, aumenterà la domanda di litio di oltre 40 volte e quella di cobalto e nichel di venti, per realizzare batterie che alimenteranno motori elettrici. Diminuiranno le emissioni, ma aumenterà la pressione ambientale e i conflitti per l’accesso alle risorse se la politica non saprà offrire una visione di ampio respiro, scrive il rapporto. Quasi un editoriale sulla campagna elettorale.
CERCANDO una spiegazione alla paralisi della politica, il rapporto Onu segnala il circolo vizioso tra incertezza diffusa e polarizzazione sociale «che si alimentano a vicenda e impediscono la solidarietà e l’azione collettiva necessarie per affrontare le crisi a tutti i livelli». Come mostrano le tabelle del rapporto – ma bastavano i nostri sondaggi – è proprio tra le fasce più insicure che mettono radici le visioni politiche più estremiste, quasi sempre rivolte a destra.
NELLA CLASSIFICA globale dello sviluppo l’Italia si piazza al trentesimo posto e, per quello che conta, ne guadagna due rispetto al 2020. In cima si piazza la Svizzera, che in un anno sorpassa Norvegia e Islanda. Come spesso avviene in questo tipo di competizioni, i primi posti in graduatoria sono monopolizzati dai Paesi dell’Europa centro-settentrionale, con le sole intrusioni di Hong Kong e Australia nelle prime dieci posizioni. Rispetto alla Svizzera capofila, l’Italia mostra un’aspettativa di vita di poco inferiore (82,9 anni contro 84) ma tre anni di studio in meno (10,7 contro 13,9 in media ) e un Pil pro-capite inferiore di un terzo.
Tra i Paesi dell’Ue, solo in Spagna e Portogallo si studia per un numero di anni inferiore al nostro.
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