È attesa a ore la decisione sulla terza dose di vaccino da parte della Commissione tecnico scientifica dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Da due giorni, gli esperti riuniti in conclave presso la sede romana dell’Aifa stanno discutendo sulla platea a cui riservare il richiamo vaccinale. È praticamente scontato che la nuova somministrazione sia autorizzata per le persone immunocompromesse, che hanno ricevuto un trapianto o seguono terapie che riducono la risposta immunitaria come quelle oncologiche (circa 3 milioni di persone). Ma la nuova vaccinazione potrebbe essere estesa anche agli ultra-ottantenni, agli ospiti delle Rsa e persino agli operatori sanitari, arrivando a 9 milioni di persone.

LE DUE SOLUZIONI corrispondono a orientamenti diversi che dividono la comunità scientifica e prefigurano anche gli scenari futuri per la campagna vaccinale. Negli immunocompromessi, infatti, la terza dose va considerata come il completamento della prima vaccinazione. Gli studi mostrano che quasi la metà di questa popolazione non sviluppa anticorpi sufficienti dopo due dosi di vaccino. Sull’opportunità di questa «terza dose», e solo di questa, si è già espresso favorevolmente il Centro europeo per il controllo delle malattie.

Al contrario, nelle altre categorie la vaccinazione ha dimostrato finora i benefici sperati. La vaccinazione di anziani e sanitari punterebbe dunque a compensare il calo della protezione del vaccino dall’infezione teorizzato da alcuni ricercatori israeliani. Si comincerebbe da loro, solo in quanto si tratta delle categorie vaccinate per prime, immunocompromesse o no. Secondo questo approccio, tutta la popolazione dovrebbe essere ri-vaccinata nei mesi a venire.

Non è questa la posizione della maggioranza degli esperti delle agenzie regolatorie, sia presso l’Agenzia europea del farmaco (Ema) che alla statunitense Food and Drug Administration (Fda). Secondo gli scienziati non vi sono sufficienti prove della necessità, della sicurezza e dell’efficacia di una nuova vaccinazione. La capacità del vaccino di prevenire sintomi gravi e decessi finora è sostanzialmente inalterata. Contraddicendo il parere dell’Ema, l’autorizzazione da parte di Aifa della terza dose in una popolazione più ampia rispetto ai soli immunocompromessi sancirebbe una sorta di «Italexit» in ambito sanitario. Una possibilità che sorprende fino a un certo punto, perché anche sugli anticorpi monoclonali – autorizzati senza attendere il consenso europeo – l’Italia aveva scelto di sganciarsi.

LA RI-VACCINAZIONE di tutta la popolazione sembra però la soluzione preferita dal governo. Lo ha fatto capire Mario Draghi nell’ormai celebre conferenza stampa del 3 settembre, in cui si è limitato a rispondere «Sì e sì» ai giornalisti chi gli chiedevano un parere sull’obbligo vaccinale e sulla terza dose.

Il commissario Figliuolo ha già dichiarato che la disponibilità di dosi non sarà un problema. L’Ue, infatti, si è già assicurata oltre un miliardo di dosi Pfizer e Moderna per il 2022. Di tanta abbondanza faranno le spese i paesi più poveri, che affidano all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) la loro possibilità di vaccinarsi. Le loro speranze saranno in gran parte deluse, ammette ora la stessa organizzazione. Il programma umanitario Covax, una partnership tra l’Oms e fondazioni filantropiche per distribuire vaccini nei paesi che non possono permetterseli, ha finora consegnato solo 240 milioni di dosi in 139 Paesi. L’obiettivo originale di distribuire almeno 2 miliardi di dosi entro il 2021, comunica l’Oms in una nota, è irraggiungibile. Al massimo, entro l’anno saranno distribuite 1,4 miliardi di dosi (ma la previsione appare ottimistica).

«GRAN PARTE della produzione globale di vaccini è già stata comprata dalle nazioni ricche» scrive l’organizzazione. «La possibilità di proteggere le persone più vulnerabili è ostacolata dai limiti alle esportazioni, dalla priorità data ai contratti bilaterali tra aziende e governi, dalla difficoltà di aumentare la produzione per alcune aziende e dai ritardi nelle autorizzazioni dei vaccini». Il risultato è che nei paesi ricchi i vaccini coprono l’80% della popolazione, mentre in quelli a reddito basso o medio-basso la copertura tocca appena il 20%.