Gli esperti dell’Agenzia Europea del Farmaco (Ema) si incontreranno il 29 gennaio per decidere se autorizzare un terzo vaccino nell’Unione Europea, quello sviluppato dall’università di Oxford e prodotto da AstraZeneca. È il vaccino di cui l’Unione ha prenotato più dosi (400 milioni), ma anche quello più economico.

Secondo un tweet “sfuggito” alla sottosegretaria al bilancio del Belgio Eva De Bleeker, una dose costerebbe 1,78 euro, dieci volte meno del vaccino più caro, quello prodotto da Moderna. Ma adesso tutti sembrano pentiti di aver puntato forte sul vaccino inglese, i tedeschi per primi.

GLI STUDI sul vaccino AstraZeneca, costellati da errori e ritardi, avrebbero mostrato un’efficacia decisamente inferiore rispetto a Pfizer/BioNTech e Moderna, 62% contro il 95%. Inoltre, sia il vaccino Pfizer/BioNTech che il vaccino CureVac (ancora in sperimentazione) hanno forti radici industriali in Germania e il governo avrebbe potuto accaparrarsi scorte maggiori se non si fosse affidato al negoziato europeo.

Così sono partiti gli attacchi alla Commissione, soprattutto dopo un’inchiesta del settimanale Spiegel che ha accusato i negoziatori di Bruxelles di aver rifiutato un’offerta di 200 milioni del vaccino Pfizer/BioNTech quando le dosi erano ancora disponibili. Nei giorni scorsi, la responsabile europea degli acquisti di vaccini Sandra Gallina ha respinto le accuse durante un’audizione presso il Parlamento Europeo: «Abbiamo comprato tutti i vaccini che ci sono stati offerti». Gallina ha negato che altri Paesi abbiano condotto negoziati indipendenti, anche perché non ci sono più vaccini a disposizione sul mercato. Fino a ieri, però, secondo il sito del ministero della sanità tedesco la Germania avrebbe opzionato 30 milioni di dosi da Pfizer/BioNTech e 20 milioni di dosi da CureVac.

LA STRATEGIA vaccinale centrata su AstraZeneca è messa sotto accusa anche in Australia. Il governo australiano ha acquistato 54 milioni di dosi del vaccino, contro solo 10 milioni di dosi di quello Pfizer. E ora gli scienziati protestano, fino al punto di chiedere l’annullamento del piano vaccinale, che prevede una somministrazione di massa del vaccino inglese.

«Il vaccino AstraZeneca – ha detto il presidente della Società australiana e neozelandese di immunologia Stephen Turner – non è quello che utilizzerei su larga scala, a causa della sua minore efficacia. Non ci si può contare per raggiungere l’immunità di gregge». «Se l’efficacia [del vaccino AstraZeneca] è del 62%, e sarà confermata da ulteriori studi, penso che ci siano buone ragioni affinché il governo investa nei vaccini Pfizer e Moderna e usi quelli nella popolazione», gli ha fatto eco Heidi Drummer, vicepresidente della società australasiana di virologia. E ora tutti attendono i nuovi dati promessi dall’azienda all’Agenzia Europea del Farmaco per l’autorizzazione e non ancora pubblicati.

LA POSSIBILITÀ di controllare il virus attraverso le vaccinazioni non dipenderà solo dalla loro efficacia, ma anche dall’effetto sul contagio. Le sperimentazioni sui vaccini finora hanno misurato la probabilità di sviluppare i sintomi del Covid-19, ma vi sono pochissimi dati sulla cosiddetta «immunità sterilizzante», cioè la prevenzione contro le infezioni asintomatiche e la trasmissione del virus. I vaccini, infatti, stimolano la produzione di anticorpi del tipo IgG e IgM, mentre l’infezione virale è combattuta anche dagli anticorpi IgA, caratteristici delle mucose delle vie respiratorie alte. Senza quella protezione, che i malati acquisiscono naturalmente dopo la guarigione, il virus potrebbe comunque infettare l’organismo in modo asintomatico e proseguire a circolare.

Dagli studi svolti finora, il vaccino Moderna ha mostrato una parziale protezione contro le infezioni asintomatiche già dopo la prima dose, mentre quello di AstraZeneca non ha avuto alcun effetto preventivo. Sul vaccino Pfizer/BioNTech non si sa nulla, ma gli scienziati sono ottimisti: «Non riesco a immaginare un vaccino che previene le infezioni sintomatiche con l’efficacia riportata dalle case farmaceutiche ma che non ha un impatto sulla circolazione del virus», ha detto alla rivista online Quartz Matthew Woodruff, immunologo della Emory University. Quasi in fotocopia (su Twitter) il parere dell’immunologo Roberto Burioni: «Non esiste sulla terra nessun vaccino antivirale che, con una protezione del 95%, non abbia un profondo impatto sulla trasmissione».

I DATI SUL CONTAGIO sono necessari anche per scegliere le categorie di popolazione da cui partire affinché le campagne di vaccinazione abbiano il massimo effetto. Uno studio del Centro Europeo per il Controllo delle Malattie (Ecdc) mostra che se il vaccino non impedisse il contagio, iniziare le vaccinazioni con gli operatori sanitari come ha fatto l’Italia potrebbe essere stato un errore: vaccinare tutti i medici e gli infermieri ridurrà il numero di vittime di meno del 5%.

Senza immunità sterilizzante sarebbe meglio partire dagli ultra-ottantenni: vaccinarli diminuirebbe il numero delle vittime di circa il 40%. Includendo anche persone con altre patologie a rischio indipendenti dall’età, i decessi calerebbero di quasi il 90%. Vaccinare gli operatori sanitari avrebbe un effetto analogo (-40% di decessi) solo se il virus prevenisse il contagio del 50%. Medici e infermieri, infatti, possono più facilmente diventare “superdiffusori” generando focolai tra i loro assistiti. Ma l’effetto del vaccino sul contagio è ancora un’incognita.