Un elogio del conflitto. Di certo è questo il tema attorno al quale si sono strette la maggior parte delle riflessioni, ma non è stata solo questo la presentazione, ieri mattina presso l’Università La Sapienza di Roma, del Bollettino di italianistica edito da Carocci e dedicato ad Alberto Asor Rosa per i suoi ottant’anni. È stata soprattutto un’occasione di festa con gli allievi vecchi e nuovi, con gli amici, i compagni di strada, i colleghi del Dipartimento di Scienze Documentarie, Linguistico-Filologiche e Geografiche della Sapienza.

Nelle parole del festeggiato, l’aspetto sorprendente degli oltre settanta interventi raccolti nella rivista è la loro capacità di disegnare un profilo dei rapporti umani, intellettuali e politici all’interno di uno spaccato della storia del Paese dagli anni Cinquanta al giorno d’oggi. «Uno dei privilegi degli ottant’anni – ha aggiunto poi  – è che dopo decenni di polemiche e tiri al bersaglio arriva il momento in cui ascoltiamo solo cose buone». Questo non impedisce però di ripercorrere in pubblico una miriade di spunti, elementi di discussione, contrasti, contraddizioni che un’esistenza così ricca non può non aver attraversato.

In un frangente estremamente delicato per le sorti dell’università e della cultura italiana, come ha evidenziato il direttore del Dipartimento, il professor Paolo Di Giovine, la vicenda intellettuale di Asor Rosa ricorda a tutti l’importanza di superare le barriere e gli steccati; qualità che sono state messe in luce dal direttore editoriale di Einaudi Ernesto Franco nel suo ritratto dell’autore di Scrittori e popolo: tramite il sismografo delle opere, indagate con un’attenzione volta a volta «puntutissima, dislocata e di sistema», Asor Rosa ha ricercato i lineamenti di un’identità italiana, fuori da prevedibili steccati disciplinari, legando al proprio passato di studioso anche le prove narrative più recenti, ad esempio Storie di animali e altri viventi.

Con «le armi della critica» – per rifarci a un altro suo titolo – ha interrogato le ragioni della storia alla radice del conflitto, laddove emerge l’identità delle forze, delle parti e degli autori in gioco. C’è poi l’assoluta importanza dei temi schiettamente politici, con la loro forza di provocazione, elaborati in un’infaticabile attività sui giornali (fra cui il manifesto) e in libri come Fuori dall’Occidente. E poi un aspetto ulteriore della sua personalità, quello che Franco ha chiamato dell’«edificatore», vale a dire «la versione utopica dell’editore»: una figura che è in grado di entrare nella realtà tramite il lavoro editoriale per cambiare l’orientamento della cultura italiana. E il senso di questa militanza è palese nella Letteratura Italiana Einaudi, da Asor Rosa progettata e diretta.

Una figura, la sua, che si deve riconoscere anche quando non ci si identifichi con essa: per Benedetta Tobagi è un maestro che ha sempre guardato con attenzione ai giovani, valorizzandoli, invitandoli a una presa di parola che non cerchi di eludere gli elementi di contraddizione nella realtà, e costringendoli «a pensare cose difficili». Anche nella netta distanza ideologica da alcune sue posizioni non si può non vedere come in Asor Rosa sia centrale il valore del conflitto e della critica, che sono sempre la molla di una sana dialettica sociale, in assenza della quale tutto, anche la politica, non può che appassire.

Ma è toccato a Umberto Eco ripercorrere, con divertita eleganza, gli anni di un «rapporto non euclideo» vissuto come su due rette parallele, destinate comunque a incontrarsi più volte. La lettura di Scrittori e popolo, nella prima edizione Samonà e Savelli del 1965, fu per Eco «un attacco liberatorio», proprio quando lui e gli altri suoi sodali del Gruppo 63 stavano portando avanti il rifiuto «di una letteratura consolatoria e densa solo di contenuti apparentemente virtuosi», in polemica anche con le correnti della letteratura impegnata sostenuta dal Pci di allora, per cui «ogni forma di attenzione al linguaggio e di sperimentalismo nascondeva un complotto neocapitalista».

Per lui, la forza di Asor Rosa, «marxista specializzato nel denunciare le maschere dell’ideologia», emerge anche nel rapporto con Dante, tramite le «intuizioni freschissime» delle pagine dantesche di Genus italicum. E in un brano narrativo, L’ultimo paradosso, Eco coglie un «volto segreto» di questo «indefesso operaista e combattente politico non a caso sempre sconfitto». Nell’osservazione con cui Asor Rosa si congeda ritornano la curiosità e l’energia che hanno animato negli anni un magistero non solo intellettuale, ma cementato da affetti profondi: «nel nostro Paese ci sono gli italiani e i non italiani. I non italiani sono molto migliori degli italiani, e sono quelli che scelgono il conflitto invece del compromesso, senza cercare ricompense facili».