La decisione sul risultato di Juventus-Napoli (per ora 3-0) arriverà entro pochi giorni, ma il tema dell’autonomia di intervento delle Asl che incide sul corso del campionato di calcio resta incandescente. E soprattutto di difficile risoluzione. Ieri davanti alla Corte d’Appello federale c’è stato il ricorso presentato dal club azzurro contro la sentenza del giudice sportivo che in seguito al match non disputato sul campo lo scorso 4 ottobre, l’ha punito con la sconfitta a tavolino (3-0) e un punto di penalizzazione in classifica per non essersi presentato allo Juventus Stadium.

Era stata l’autorità sanitaria campana a impedire la partenza del Napoli (due i positivi nella società campana) per Torino, accendendo la miccia di un fuoco che ora sta ingoiando anche altre squadre e che la federcalcio e neppure il ministero dello sport forse sono in grado di spegnere. Perché se il Napoli, in caso fosse rigettato il ricorso dalla Corte d’Appello, è pronto a ricorrere al collegio di garanzia del Coni e pure al Tar, resta il clima di incertezza rispetto al metro diverso utilizzato dalle Asl negli ultimi due giorni, con provvedimenti indirizzati ad alcuni club che non possono spedire i calciatori (in isolamento) in giro per l’Europa e in Sudamerica per le partite con le rispettive nazionali.

Motivi di sicurezza sanitaria, il rischio di produrre focolai, cluster, un fiume di contagiati, è assai elevato. Ma il regime di quarantena è stato riservato a macchia di leopardo: per esempio l’Asl di Milano non è intervenuta a impedire la partenza dei tesserati dell’Inter, a differenza di quanto avvenuto alla Roma, alla Lazio e alla Fiorentina e anche al Sassuolo, che pure conta alcuni calciatori contagiati.

«Non stiamo facendo una grande figura a livello internazionale. Abbiamo interessato tutti i ministri competenti, questa situazione genera un impatto negativo, pensate a quelle Nazionali che si troverebbero a giocare le qualificazioni europee senza alcuni giocatori». Dunque, la richiesta di una gestione unitaria, di una visione comune tra le autorità sanitarie, per non incidere sulla regolarità di un torneo già parecchio provato dal cervellotico protocollo che ha portato squadre a giocare con pochi elementi della rosa più qualche primavera, per l’esigenza di scendere in campo. Il motivo? I soldi, tanti soldi: il calcio italiano è indebitato fino al collo, c’è il rischio di stipendi non pagati in molte società nelle prossime settimane e il governo ha respinto la richiesta di un obolo da 400 milioni di euro per salvare la baracca.

E prima di Gravina c’era stato il duro intervento dell’amministratore delegato dell’Inter, Beppe Marotta, che aveva esortato un cambio di passo sulla questione Asl, arrivando anche a ipotizzare la sospensione del campionato per 15 giorni, in attesa di un tavolo da cui saltasse fuori un criterio unico da applicare per tutte le squadre di A. L’Inter ha dato indicazione ai suoi atleti, in attesa di un intervento dell’Asl di Milano, di raggiungere i ritiri delle nazionali con mezzi privati.