Se Lampedusa «certamente rimane il contesto dell’emergenza, soprattutto per la difficoltà di trasferimento dei migranti dovuta però anche alla volontà di usare mezzi ordinari, come le navi per il trasporto pubblico, invece di attivare come nel 2008 un sistema di aerei militari per svuotare l’isola», il «vero problema» è però ormai la Sicilia. Qui, soprattutto sulla costa orientale siciliana – la zona tra Porto Palo, Siracusa e Catania –«la situazione è più grave perché tutta la fase della prima accoglienza è affidata all’emergenza». Manca «non solo una legge ma perfino un piano regionale per l’immigrazione». A spiegarlo è l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo, docente di Diritto di asilo e statuto costituzionale dello straniero all’università di Palermo.

Professore, si sono intensificati gli sbarchi in Sicilia?

Fino ad aprile, rispetto allo scorso anno, gli sbarchi erano in forte calo. Ma secondo fonti di Frontex confermate da Acnur finora sono arrivate sulle coste siciliane circa 12 mila persone. Quindi un numero abbastanza normale per l’Italia, considerando che nell’ultimo anno le richieste d’asilo sono state 15.700. Faccio questa precisazione perché ormai la stragrande maggioranza di persone che sbarcano sulle nostre coste arriva da paesi come Egitto, Siria, Somalia, Eritrea, dai quali è prevista la richiesta di asilo umanitario.

Sono egiziani e siriani anche i migranti giunti ieri col barcone della tragedia di Catania.

Una parte sono sicuramente siriani. E questa è una relativa novità rispetto all’ultimo anno; anche se non è un fenomeno di massa, perché secondo l’Onu ci sarebbero 15 mila rifugiati siriani in Libia e di questi si stima che solo alcune migliaia siano in arrivo in Sicilia e nel sud dell’Italia.

Non è un’emergenza, dunque.

Alcuni paesi europei come la Francia e la Gran Bretagna ricevono un numero notevolmente superiore di richiedenti asilo: parliamo di 50-60 mila all’anno. E senza che diventi un’emergenza come da noi, con conseguenze negative in materia di accoglienza. Stiamo verificando in questi giorni il sovraffollamento di strutture come il Cara di Mineo, vicino Catania, che è ben oltre il collasso, con un numero imprecisato di ospiti neppure censiti del tutto. Una situazione assolutamente ingovernabile che deve esser ricondotta alla normalità con una politica di accoglienza finora mancante nel nostro Paese. Il piano «emergenza umanitaria Nord Africa» aperto nel febbraio 2011 si è chiuso a febbraio di quest’anno senza che le risorse per gli enti di accoglienza continuassero a fluire, con il brillante risultato di avere portato in tanti altri Paesi europei gli immigrati che erano in accoglienza in Italia. D’altronde, molti di coloro che arrivano da noi sapendo cosa li aspetta se rimanessero in Italia fanno l’impossibile e fuggono verso altri Paesi europei, come è successo pochi giorni fa dal centro informale di Porto Empedocle.

Quale idea si è fatto, riguardo la tragedia di ieri?

Sul caso specifico non ho molti elementi, so solo che tutte le imbarcazioni che si avvicinano alle nostre coste sono monitorate da mezzi navali militari. C’è da capire cosa è successo in questa circostanza: se il mezzo è arrivato all’oscuro delle autorità o se ci sono stati ritardi nei soccorsi. Lo si potrà capire solo quando ci sarà un’indagine volta non solo a cercare gli scafisti ma anche ad accertare eventuali responsabilità della tragedia.

La Sicilia è ancora senza una legge o un piano regionale sull’immigrazione.

Esattamente, l’ho denunciato tante volte. È un disastro completo: non c’è una programmazione regionale, non ci sono risorse ma forse non c’è nemmeno la volontà politica. Perché le dichiarazioni di principio sono state eclatanti da parte del governatore Crocetta, ma dal punto di vista dell’iniziativa concreta siamo a livelli inferiori perfino rispetto al 2011 quando alla regione c’era un certo Lombardo che se non altro intervenne allora almeno sul fronte sanitario, inviando servizi specifici a Lampedusa. Ma è un problema, quello dell’accoglienza, che dalla Sicilia diventa nazionale perché da qui i migranti vengono trasferiti verso Bari come verso il Lazio. Certamente nell’isola c’è una carenza di mezzi e strutture: per esempio, gli operatori in campo del progetto Presidium – missione del ministero degli Interni composta da Acnur, Oim, Save the Children e Croce rossa – che dovrebbe censire migranti vulnerabili, sono pochissimi.

Lei ha già formulato alcune proposte, ce le riassume?

A livello regionale, in vista della legge che va fatta improrogabilmente ma per la quale occorrono anni, serve un piano regionale di prima accoglienza che fornisca interventi di operatori civili e non militari subito dopo lo sbarco. Operatori culturali e linguistici, medici, un servizio legale per avviare le procedure a cui i richiedenti asilo hanno diritto senza il filtro di autorità di polizia. Il vero problema è che la richiesta di asilo viene ancora equiparata all’immigrazione clandestina e affrontata con gli stessi mezzi culturali. A livello regionale e nazionale serve raddoppiare il numero di commissioni esaminanti e rendere più rapide le procedure. Va poi potenziato il sistema di centri di accoglienza per richiedenti asilo. A fronte di 15 mila richieste, evidentemente 7000 posti – 3 mila in più, previsti dal sistema Sprar (il sistema di protezione per gli asilanti e i rifugiati, ndr) – non bastano. Va strutturato un sistema di accoglienza decentrato sul territorio chiudendo le mega strutture come quella di Mineo che costa per ognuno dei 3000 ospiti 40 euro al giorno: 3,6 milioni al mese. Un grosso business per produrre solo disperazione.