Dopo lo scoppio della pandemia, la Cina ha voluto riabilitare la sua immagine a livello internazionale, promuovendosi come leader mondiale nella lotta contro il virus. E l’unica arma per sconfiggere il nemico invisibile è il vaccino. La Cina ha subito preso il suo posto d’onore nella «diplomazia dei vaccini», conquistando lo scorso ottobre il primato di potenza mondiale per aver aderito al Covax, il programma lanciato dall’Oms per distribuire i sieri ai paesi meno sviluppati.

I governi di tutto il mondo hanno ordinato milioni di dosi all’azienda farmaceutica di stato cinese Sinopharm, oppure hanno optato per sieri della SinoVac Biotech o della CanSino Biologics. Dalle Filippine all’Indonesia, dalla Malesia al Myanmar passando per Singapore, dalla Turchia al Brasile passando per il continente africano, il siero cinese viene acquistato da quei paesi impossibilitati a ottenere vaccini troppo costosi o difficili da conservare.

Una scelta che porta a ignorare la diffidenza legata alla scarsa trasparenza dei dati, relativi alla sperimentazione clinica e all’efficacia, e alimentata dagli scandali legati ai vaccini scoppiati in Cina.

Nel tentativo di tranquillizzare la popolazione, numerosi leader hanno deciso di immortalare il momento in cui ricevono il siero cinese. Davanti ai giornalisti, il 13 gennaio scorso il presidente indonesiano Joko Widodo ha ricevuto una dose dalla SinoVac; lo stesso spettacolo è stato inscenato dal presidente turco Erdogan. In Europa, invece, il primo paese ad aver adottato l’antidoto cinese è la Serbia (che non fa parte dell’Ue): il 19 gennaio, il ministro della sanità serbo Zlatibor Loncar è diventato il primo cittadino del suo paese a ricevere il vaccino di Sinopharm.

E tutti questi scatti sono diventati ottimi materiali per la propaganda del governo cinese, che rivendica l’efficacia del siero di stato. Più di venti paesi hanno firmato accordi con Pechino per la fornitura e l’uso emergenziale del vaccino prodotto dalle aziende SinoVac o Sinopharm, sia attraverso il programma Covax sia direttamente dalla Cina.

Oltre al Bahrain, Giordania, Iraq e Pakistan, l’Egitto ha iniziato la sua campagna vaccinale lo scorso 24 gennaio, mentre le Seychelles il 20 gennaio: entrambi i paesi hanno ottenuto il prodotto della Sinopharm a dicembre attraverso gli Emirati Arabi Uniti. Il canale emirato non è casuale: Abu Dhabi è stato uno dei primi a constatare un’efficacia dell’86 per cento per il vaccino della Sinopharm, mentre l’ok delle autorità di Pechino è arrivato qualche settimana dopo, parlando di efficacia del 79 per cento.

I dati sull’efficacia nei vari trial condotti in diversi paesi mostrano quindi livelli differenti. Sull’antidoto della SinoVac, invece, c’è ancora confusione: la Turchia ha registrato un’efficacia superiore al 91 per cento, l’Indonesia al 61 e il Brasile al 50,4 per cento. La trasparenza dei dati quindi potrebbe essere la chiave giusta per consentire agli esperti di valutare al meglio l’efficacia dei sieri.

È questo l’appello di Ding Sheng, decano della School of Pharmaceutical Sciences della Tsinghua University e direttore del Global Health Drug Discovery Institute, secondo cui solo attraverso la divulgazione di dati dettagliati si può vincere la diffidenza internazionale.

Nelle prossime settimane la distribuzione dei vaccini sarà più capillare: a febbraio arriveranno dosi nello Sri Lanka, in Messico, in Perù, ma anche in Brasile e Turchia, che lamentano ritardi. In Africa la Cina si presenta sul mercato trovando un altro competitor: la Russia. Per questo il leader cinese ha inviato il 5 gennaio il ministro degli Esteri Wang Yi in cinque paesi africani, promettendo l’arrivo del vaccino cinese, senza specificare né i modi né i tempi.

Pechino ha inoltre offerto un prestito di un miliardo di dollari per l’acquisto di vaccini ai paesi dell’America Latina e dei Caraibi. Non è chiaro quali potrebbero essere i termini dell’accordo, ma è evidente qual è l’obiettivo della Cina: vincere la corsa alla diplomazia del vaccino.