Oltre 50 paesi, tra Europa e Asia, ovvero il 60% della popolazione mondiale. Un giro d’affari miliardario, scambi commerciali, collaborazioni scientifiche. Classi medie che crescono, diventando mercati da conquistare; design e creatività che aumentano, investimenti che prendono nuove direzioni.

L’asse del mondo si sposta, e consegna all’Europa un continente asiatico ormai assurto ormai al ruolo di partner globale fondamentale. E Milano ieri è stata la cornice del primo «Asia-Europe meeting» (di dieci effettuati dal 1996) che ha sancito l’avvio verso un mondo sempre più multipolare, nel quale il continente asiatico è ormai protagonista.

Tra vetture diplomatiche, strade insolitamente deserte nel centro cittadino, metropolitane chiuse, giornalisti e capi di Stato da tutto il mondo, Milano ieri sembrava il palcoscenico della globalizzazione trasformata in persona, tra strette di mano e inni alla crescita e alla competitività, senza troppo riguardo per i disastri sociali costruiti dalle politiche liberiste che ormai spadroneggiano in – quasi – ogni anfratto del pianeta. È stata una ghiotta occasione per tutti e per ogni scopo sospeso: per risolvere controversie – o trovare accordi – tra Stati e per il networking dei tanti operatori industriali.

E per proclami rilevanti, come è capitato al premier cinese Li Keqiang, che prima del vertice ha incontrato il presidente del Consiglio Matteo Renzi, auspicando una collaborazione sul tema che le aziende italiane, pare, temono di più dalle parti di Pechino, ovvero quello legata alla proprietà intellettuale. Nel pomeriggio sono arrivati Shinzo Abe, Merkel, Hollande, Putin e Poroshenko.

I paesi asiatici guidati da Cina e Giappone hanno confermato la propria vocazione europea – e come sottolineato da rumors sui quotidiani nei giorni scorsi, gli Stati uniti pare non abbiano gradito granché – con incontri propensi a nuove cooperazioni commerciali. Attualmente i numeri dicono che le esportazioni europee verso i paesi asiatici pesano per circa 1.250 miliardi di euro, mentre gli investimenti superano i 500 miliardi. Mercati, player globali, un orizzonte sempre più comune.

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Nella Milano lanciata verso l’Expo, convitato di pietra di ogni discorso, appello e futura collaborazione, non sono mancate alcune contestazioni: le Femen, riunitesi in piazza Duomo per protestare contro Putin e i centri sociali che – muniti di bandiere no Tav – sono entrati alla Statale, lanciando mobilitazioni per tutta la giornata.

La parola magica del vertice è stata «crescita», come ripetuto da Matteo Renzi nel suo intervento. Ma di che crescita si parla? Su questo sono intervenuti alcuni esponenti della società civile, ospitati per la prima volta all’Asem. Tra questi quello di Luciana Castellina che ha parlato in rappresentanza di 400 tra organizzazioni, movimenti e sindacati di 42 paesi che hanno preso parte al decimo incontro Asia-Europe People’s Forum.

Nell’intervento sono stati denunciati la «liberalizzazione del commercio e dei mercati finanziari, così come la privatizzazione dei servizi essenziali», elementi che non hanno permesso la crescita e il progresso, come è stato sostenuto, «ma invece il disastro sociale per milioni di persone». Le richieste verso l’Asem sono varie, prime fra tutti la necessità che gli accordi in discussione siano trasparenti e discussi in modo democratico.

Con la parola «crescita», l’altro mantra della giornata di incontri internazionali è stata «innovazione». Tanto che Italia e Cina, si sono presi del tempo tutto per loro, all’interno della quinta edizione del China Italy Innovation Forum, per discutere di cooperazioni nell’ambito dell’innovazione, del design, della creatività e dell’ingegneria.

Anticipati dall’intervento del rettore del Politecnico milanese, Giovanni Azzone, Li Keqiang e Renzi hanno confermato le intenzioni comuni in termini di collaborazione tra i due paesi.

Dopo gli accordi da 8 milioni di euro dei giorni scorsi, ieri sono stati confermati anche quelli sulla cooperazione nel settore biomedicale (tra Bgi Diagnostics e Bioscience Insitute) con un accordo di quattro anni sulle tecniche non invasive di diagnosi prenatale, nel settore ambientale, in relazione agli olii rigeneranti e di cooperazione finanziaria, con protagonista Bank of China. Questi accordi e questa spinta cinese sull’innovazione raccontano un cambio di strategia e di paradigma piuttosto rilevante da parte della Cina, che ormai spende più di tutti al mondo per la ricerca e sviluppo e punta a distinguersi sui mercati mondiali per ciò che viene creato in Cina – il designed in China – anziché quanto viene prodotto, ovvero il noto – spesso con accezione negativa – made in China.

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Il tema dell’innovazione è sentito a Pechino e da anni si discute sul suo sviluppo, perché la Cina diventi un attore importante a livello mondiale. A questo proposito sono gli stessi cinesi, attraverso paper accademici e articoli sui media, a mettere in evidenza i limiti che ancora oggi si riscontrano in questo passaggio. Una di queste «difficoltà» è stata sottolineata proprio da Matteo Renzi ieri mattina, quando ha specificato che l’Italia può aiutare Pechino per quanto riguarda il concetto di qualità. È vero: in Cina ancora oggi c’è ancora troppa attenzione alla quantità, anziché alla qualità. Un secondo problema è «ambientale» e dipende dalla chiusura che il Paese ha avuto verso l’esterno, per molta della sua storia recente. Gli standard concepiti in Cina, sono nazionali e raramente, per ora, tengono conto di quelli internazionali.

Il terzo punto è stato invece sottolineato da Li Keqiang: la questione legata alla proprietà intellettuale. Ed è bene ricordare che sono le stesse aziende cinesi a richiedere la difesa di tale diritto, essendoci molte più cause legate ai fenomeni di copie, i noti fake, tra aziende nazionali, che non tra società straniere e cinesi.