Una serata a casa di amiche e amici amanti della musica, con due veri musicisti che suonano come “aperitivo” la splendida sonata di Brahms per pianoforte e clarinetto (n.1 opera 120) – e la eseguono con grande passione, perizia espressiva e ritmo serrato – mi suggerisce qualche divagazione sulle condizioni non semplici, ma non irraggiungibili, grazie alle quali tra le persone possa esserci una vera comunicazione, un vero ascolto, un vero piacere.

Dimensioni che nelle nostre vite quotidiane sembrano spesso irrimediabilmente compromesse da superficialità, distorsioni, cattivi sentimenti, pregiudizi, chiusura e incapacità di ascolto. Dopo la buona musica, a cena, i discorsi si intrecciano sulle culture e identità dei vari ceppi popolari italiani (il buon cuore esigente dei calabresi, il disordine romano, l’eccessiva riservatezza, per non dire la musoneria dei genovesi, e via dicendo..). Si parla anche di politica, in qualche modo, e ci si interroga sui destini di un movimento esploso in modo dirompente, i 5 Stelle, oggi sempre più in crisi, e sul vero significato delle piazze piene di “sardine”.

Un nome che si pronuncia con qualche imbarazzo, in bilico così com’è tra la simpatia di una buona sorpresa è un certo senso di surreale ridicolo.

Non me ne sono fatto un’idea precisa ma mi sembra che la somma di quello che queste piazze piene non fanno e non dicono e le parole, poche, che invece vengono pronunciate o cantate, potrebbero esercitare un buon influsso sul discorso pubblico della politica e dei media.

A condizione che più che interrogarsi e interrogare su quali siano gli “obiettivi” di questo movimento o dei loro giovani “leader”, si provassero a immaginare le risposte ai loro silenzi, a certe semplici enunciazioni, alla postura dei corpi.

Per esempio il fatto che la realtà degli intrecci tra vita, società e politica è una cosa molto complessa, e che quindi è illusione e bugia la pretesa di offrire soluzioni “semplici”, riassumibili in qualche slogan o indicando un “nemico” allontanando il quale si risolverebbero tutti i mali.

Per comporre e per eseguire una bella musica è necessario uno studio difficile, un grande impegno, una enorme passione (oltre a qualità artistiche di origine misteriosa).

Ma il risultato può essere una capacità di comunicazione immediata, uno scambio intenso che dura nel tempo. Perchè queste condizioni si verifichino certo può essere sufficiente un buon apparecchio che riproduce una registrazione, ma niente può sostituire davvero l’esperienza dello stare insieme nella sala di un teatro dove suona un’orchestra, o ancor meglio quella di un piccolo gruppo di persone in una stanza, intorno a chi suona.

Si dirà che un conto è l’esperienza della produzione e della fruizione e dell’arte, un’altro è l’articolazione del discorso pubblico e politico. Ma anche in questo caso si tratta di riflettere per un momento a quali “modelli” ci si riferisce per ottenere qualche risultato. Oggi la politica sembra ridotta alla spasmodica ricerca del consenso, funzionale al potere, e ricercato grazie ai linguaggi più rozzi e semplificati. Se invece del “modello potere” si provasse a seguire un “modello piacere”?

Nel senso più alto del termine?

Quest’anno Einaudi ha tradotto il seminario che Lacan tenne nel cruciale semestre 68-69 (Da un Altro all’altro) dove viene introdotto, citando il plusvalore di Marx, il concetto di plusgodere. Un modo per dire – semplificando al massimo – che un effetto non trascurabile del capitalismo e del modo in cui si lavora (o non si lavora) e si consuma è la rinuncia a un vero godimento. Come creare uno scambio di piacere è la ricerca politica da tentare?