La foresta è stupore e pericolo. È l’archetipo della vita, perché è qui che la vita ha proliferato di più, in modo sistemico e con interazioni ancora in parte sconosciute. Una foresta vergine si penetra solo spingendosi nell’oscurità della notte, dove restare in ascolto dei linguaggi e delle contese sonore che danno vita a un rito consacrato: è in assenza di luce che la natura manifesta tutta la sua primordialità, attraverso continue ondate di timbri e ritmi.
David Monacchi è in ascolto da vent’anni. Piazza la sua attrezzatura fatta di microfoni e registratori in giro per le foreste del mondo per raccoglierne l’ambiente sonoro più intimo. Il suono non può esistere al di là del tempo in cui si svolge, ma non lascia traccia dopo il suo passaggio: è del tutto effimero. È questa consapevolezza che lo spinge a diventare un «salvatore» del suono.

L’arca dei suoni originari. Salvare il canto delle foreste dall’estinzione (Mondadori) è uno straordinario viaggio alla scoperta delle ecosinfonie che avvolgono i punti più ancestrali della Terra. Un viaggio che parte dalla sua Urbino, dove giovanissimo esegue le prime rudimentali registrazioni: luoghi lontani dal rumore dell’urbanizzazione dove inizia a registrare paesaggi sonori efficaci. Esce con i primissimi registratori a cassetta, poi finalmente arrivano i primi digitali portatili. Vive di notte. A vent’anni il suo mondo è la campagna, d’estate il lago, dove affina udito e sensibilità. «La sensibilità alla natura va educata, non viene da sola» scrive.

In ambito scientifico si parla già da tempo di «sesta estinzione di massa», cioè la sparizione di 30 mila specie l’anno: un impatto, dunque, consapevole. Il paesaggio sonoro di Murray Schafer diventa la sua bibbia. In città, come occidentali assuefatti al visivo, siamo devastati dalla schizofonia del suono, scisso dalla sua sorgente originaria: il 95% dei suoni che arriva al nostro orecchio non porta alcuna informazione, è discarica acustica, lo subiamo e basta. Nei boschi è tutta un’altra musica.

David, compositore elettroacustico e ingegnere del suono, formula la sua domanda di partenza: se persino qui, nell’Appennino, si riesce a individuare un ordine acustico nelle specie che si ascoltano, cosa succede nelle foreste primarie? Vuole ascoltare, registrare e proteggere l’origine della vita dentro alle foreste equatoriali. Nel 2002 vola in Amazzonia. Il primo impatto è quello con il verso delle scimmie, «un magma acustico a bassa frequenza, una sorta di rumore bianco/rosa». David calpesta ogni centimetro possibile di foresta in Brasile, Ecuador, Repubblica Centrafricana, Brunei, Malesia. In Amazzonia ci torna anche, questa volta al confine tra Ecuador, Colombia e Perù, dove è in atto una guerra subdola tra popolazioni indigene, governi e compagnie petrolifere. Laggiù, si sente in sottofondo il rumore delle stazioni di pompaggio. Passa notti intere a registrare i pappagalli («il loro caos è una texture»), i vermi (che, emettendo aria, generano delle vere e proprie esplosioni), le scimmie urlatrici, gli alberi maestosi che respirano. «Vado a stare lì perché sento che c’è qualcosa che mi nutre, un respiro dell’anima che si riverbera nella mia creatività». Insetti e serpenti si infilano ovunque. La foresta è un’esperienza prospettica perché i suoni vicini sembrano lontani.

Il dialogo tra due tucani, o due rane, o due uccelli notturni diventa la sua «Gioconda» appoggiata a uno sfondo. Sa che non potrà mai far ascoltare suoni belli, ma una complessità sonora che l’uomo occidentale non conosce. Mondi sonori che stanno scomparendo. Il suo visionario progetto è il tentativo di creare un’arca immateriale che custodisca i suoni del mondo. Fragments of Extinction diventa un progetto internazionale. I suoi «ritratti acustici» restituiscono il linguaggio sonoro di un pianeta che si sta sgretolando. Ma David vuole far diventare quest’arca di suoni anche materiale e progetta uno spazio sferico per un ascolto tridimensionale che chiama Sonosfera: dove ascoltare, per sempre, il canto delle foreste.