«Stimatissimo Signor Berg, forse si ricorderà di me: al Tonkünstlerfest del 1924 a Francoforte Le fui presentato da Scherchen, e Le parlai della mia intenzione di venire a Vienna a studiare presso di Lei». Comincia così la prima lettera di Adorno ad Alban Berg, datata febbraio 1925 e contenuta nel carteggio che ora esce con il titolo Sii fedele Corrispondenza 1925-1935 (traduzione di Roberto Di Vanni, revisione e nota di Paolo Petazzi, Archinto, pp. 312, euro 24,00). Adorno aveva allora ventun anni, la sua formazione universitaria si era già conclusa l’anno precedente con il dottorato in filosofia, ma la sua vera passione era la musica, alla quale era stato educato fin da bambino sia dalla madre sia, soprattutto, dalla sorella di lei Agathe Calvelli-Adorno, che viveva nella stessa casa di famiglia.

Assieme al pianoforte, da qualche anno aveva cominciato a studiare anche composizione, ma, affascinato dalla nuova musica della Scuola viennese, capiva che a Francoforte non avrebbe potuto veramente progredire: «per portare a compimento i miei nuovi progetti vorrei prima di tutto affidarmi alla Sua guida e alla Sua supervisione. Si tratta di problemi tecnici ben precisi, che non mi sento ancora all’altezza di affrontare». Ancora un mese e Adorno sarebbe arrivato a Vienna per prendere lezioni da Berg. Vi rimase per circa sei mesi, anche se le lezioni furono spesso interrotte dai numerosi impegni del compositore, e da quella prima frequentazione nacque un rapporto intenso, a volte complesso, ma di grande affinità e sintonia reciproca, rapporto – che con qualche interruzione – sarebbe durato fino alla morte di Berg, avvenuta nel dicembre 1935.

Adorno era letteralmente affascinato dal compositore viennese e le sue lettere mostrano quanto incondizionata fosse la dedizione dell’allievo nei confronti del maestro. Nel corso degli anni, quel rapporto sarebbe stato destinato a svilupparsi e a diventare un legame di stima reciproca e di sincera amicizia, anche se la distanza del «lei» non venne mai sciolta in un «tu» confidenziale. Berg ammirava non solo le competenze musicologiche del giovane Adorno (che in quegli anni cominciava a scrivere i primi saggi di filosofia della musica) ma anche le sue capacità compositive, tanto da comunicarlo allo stesso Schönberg, che di Berg era stato maestro: «Trovo il lavoro di Wiesengrund molto buono, e penso che, se avrai occasione di conoscerlo, dovrebbe incontrare anche la tua approvazione. Ad ogni modo, per la seriosità, la concisione, e soprattutto per la purezza assoluta del suo stile, merita di essere collocato all’interno della scuola di Schönberg (e in nessun altro luogo!)».

Il giudizio si riferiva al Quartetto d’archi composto da Adorno nel 1921, e altrettanto lusinghiera fu la valutazione dei più maturi Lieder, che Adorno compose dopo il suo soggiorno viennese: «Sono ancora pieno di ammirazione di fronte alla fattura complessiva, che non ho alcuna esitazione a definire magistrale, alla ricchezza formale, che si manifesta al primo sguardo e al modo quasi giocoso con cui Lei padroneggia le ultime ‘conquiste’», scrive Berg il 28 agosto del 1928.

Non solo a chi ne conosce la produzione filosofica e sociologica, ma anche a chi già ne ammirava gli scritti di filosofia della musica, questo carteggio rivela un Adorno inedito. Perché se è vero che in quegli anni si affermavano i suoi saggi in campo musicale, fu soprattutto alla composizione che Adorno dedicò, tra il 1925 e il 1930, gran parte del suo impegno. Stava ancora lavorando alla tesi di abilitazione in filosofia, nel giugno del 1926, quando scrive a Berg: è «un impegno che non mi dà alcuna gioia, perché mi obbliga a restare al di sotto del mio livello (…) Comporre resta per me la realtà spirituale decisiva». Una dedizione che si voleva totale e che venne confermata in una lettera del novembre 1929, quando, dopo un gratificante incontro con Webern, confessò al suo maestro Berg: «Spero soltanto di trovarmi presto in una situazione che davvero mi consenta di non fare altro che comporre». Come sappiamo, la speranza non si sarebbe realizzata, per vari motivi che il carteggio mette bene in luce. Ma è da questo Adorno ventenne e compositore che bisogna partire per capire il filosofo e il teorico sociale degli anni successivi.

Tutto concentrato sulla musica e sulle vicende dell’ambiente musicale che ruotava attorno alla Scuola di Vienna, questo carteggio lascia sullo sfondo la grande vita intellettuale austro-tedesca del decennio a cavallo fra gli anni venti e trenta. Ne emergono solo alcune figure di intellettuali e musicisti che Adorno conobbe a quel tempo: a Vienna, nel 1925, incontrò Lukács, ma gliene rimase solo il ricordo di una reciproca incomprensione, particolarmente dolorosa per lui che lo considerava come la «persona che mi ha influenzato più profondamente di chiunque altro». E incontrò anche quelli che sarebbero diventati i suoi amici, da Krakauer a Benjamin, a Kleiber, a Klemperer a Webern e, infine, Schönberg, con il quale il rapporto fu segnato, fin dall’inizio, da difficoltà e incomprensioni, per Adorno particolarmente spiacevoli.

La sua sconfinata ammirazione per il grande compositore si accompagnò, infatti, a profonde divergenze teoriche: Adorno riteneva fuorviante l’idea di una «Scuola di Schönberg», perché se la produzione del maestro implicava la rottura con ogni tradizione a maggior ragione avrebbe dovuto comportare l’esclusione da qualunque scuola; ma Adorno insisteva anche sul valore autonomo della produzione musicale di Berg rispetto al magistero di Schönberg. Altri spiacevoli conflitti pratici sono testimoniati dalle molte lettere che riportano l’avversione di Schönberg verso alcuni scritti di Adorno, sulla rivista musicale viennese «Anbruch» e il suo intervento per limitarne l’influenza. I due si incontrarono poi a Francoforte nel 1930 in occasione della prima dell’opera Von heute auf morgen e in quell’occasione ebbero modo di chiarirsi e di riconciliarsi: «Ho passato molto tempo in compagnia di Schönberg – si legge in una lettera di Adorno – ho avuto molto da lui e non c’è stato alcun attrito tra di noi. La frequentazione della persona non è meno interessante di quella della sua musica». Ma fu solo una «tregua»: la guerra sarebbe riesplosa con la pubblicazione del Doktor Faustus di Thomas Mann, nel 1947, e con la Philosophie der neuen Musik di Adorno nel 1949.

Il grande sogno maturato all’inizio degli anni trenta, quando Adorno desiderava affermarsi come musicista, era destinato a svanire: già nel settembre 1931 accertava, dolorosamente, una crisi compositiva, proprio in singolare coincidenza temporale con la felice conclusione della sua tesi di abilitazione in filosofia su Kierkegaard.

Da quel momento, lo scambio epistolare con Berg si fece sempre più rado, mentre cominciava invece la sua collaborazione con Horkheimer, neodirettore dell’Institut für Sozialforschung, e con la rivista dell’Istituto. Il resto lo fece la presa di potere da parte di Hitler, due anni più tardi, e la necessaria scelta dell’emigrazione. Una nuova fase della vita era cominciata. Ma la formazione musicale del giovane Adorno sarebbe rimasta per sempre impressa nel suo modo di fare filosofia: la «libertà della costruzione immaginativa», che teorizzava come ideale della composizione musicale, avrebbe trovato la sua ideale continuazione proprio nel carattere della sua prosa e nella libertà espressiva del suo linguaggio filosofico, alla base del quale si affermava l’idea che il pensiero dovesse andare al di là del semplice esistente, svelandone le potenzialità nascoste per aprirsi all’utopia del possibile.