Annunciando che, in segno di protesta, non parteciperà alla cerimonia degli Academy Awards, il 26 febbraio prossimo, Asghar Farhadi, il regista iraniano premio Oscar 2012 per A Separation, e nominato anche quest’anno con Il cliente, è stato uno dei primi a rispondere all’ordine esecutivo con cui Donald Trump ha bloccato per 90 giorni l’ingresso negli Stati uniti ai cittadini di Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen, e bandito quello dei rifugiati per 120 (indefinito il bando d’accesso ai rifugiati dalla Siria). Ma, mentre le manifestazioni continuavano negli aeroporti, davanti alla Casa bianca e, a partire da Brooklyn, i giudici in parecchitribunali mettevano in dubbio la costituzionalità dell’ordine esecutivo del presidente, la reazione della comunità artistica ha continuato a farsi sentire per tutto il week end.

Dal backstage dei Sag Awards, dopo aver accettato il premio alla carriera conferitole dal sindacato degli attori, la grandissima comedienne Lily Tomlin non ha esitato a paragonare la strategia politica di Trump a quelle delle Germania nazista. «Trump sta cambiando la legge….È un paragone che faccio a fatica ma i nazisti, quando non erano d’accordo con una legge, la cambiavano e poi facevano quello che volevano» ha dichiarato Tomlin, invitando gli attivisti delle comunità artistica ad appoggiare pacchetti legislativi che oppongano le disastrose nuove misure della Casa bianca. Un rimando alle purghe naziste è arrivato anche da Julia Louis Dreyfuss, vincitrice del premio di miglior attrice comica per la serie HBO Veep, che ha ricordato come suo padre sia arrivato in USA, in fuga dalla Francia occupata da Hitler.

Brian Cranston, premiato per l’interpretazione di Lyndon Johnson nello speciale tratto dal successo di Broadway All the Way, ha invece suggerito che il suo alter ego texano avrebbe incoraggiato il 45esimo presidente: «A non pisciare nella zuppa che dobbiamo mangiare tutti».

Anche senza citare direttamente Trump, parecchi altri premiati della serata (echeggiando John Legend alle cerimonie dei Producers Awards: «Siamo il volto e la voce dell’America, che è grande, libera e aperta a tutti i sognatori di ogni razza e religione») hanno dato voce a messaggi in nome della tolleranza religiosa, del pregio delle diversità e dell’importanza del ruolo delle arti per la difesa di questi valori. Sarah Paulson (premiata per l’interpretazione di Marcia Clark, nella miniserie The People versus O.J. Simpson) ha invitato il pubblico a inviare donazioni alla American Civil Liberties Union. A partire da sabato mattina, l’organizzazione per i diritti civili, che ha sporto numerose cause contro l’ordine di Trump, e già vinto in tribunali di New York, della Virginia e del Massachusetts, avrebbe già raccolto contributi pari a 24 milioni di dollari.

Bloccati dall’ordine della Casa bianca anche la regista siriana di un corto documentario nominato agli Oscar, mentre il regista curdo Hassein Hassan, previsto a Miami per la prima americana del suol film Reseba – The Dark Wind, ha dichiarato di aver ritirato la sua richiesta di visto. Rabbia e costernazione sono stati manifestati anche dai portavoce di altre grandi maggiori istituzioni culturali, tra cui il Metropolitan Museum di New York, la cui curatrice responsabile per l’ arte antica dell’oriente, Kim Benzel, ha ricordato il Codice di Hammurabi: «Una dei tanti contributi dell’Iraq al resto del mondo e, in questo caso, alla nozione stessa di democrazia. Come è possibile che siamo finiti in una situazione così sbagliata?».