Gli anni 2020 e 2021 nel mondo della musica verranno senza dubbio ricordati come quelli del grande silenzio. Per quasi un anno e mezzo siamo stati privati delle esibizioni dal vivo, che sono ritornate quest’estate con il contagocce. Le nuove regole introdotte dal governo a inizio ottobre consentono però il ritorno della piena capienza per gli eventi dal vivo, sempre con l’uso della mascherina e per i possessori di Green Pass. Forse il grande silenzio sta finalmente per finire. Eppure se per qualsiasi musicista il palco dovrebbe essere la vera e autentica dimensione espressiva, è altrettanto vero che la storia del rock ha spesso avuto dei protagonisti che hanno evitato il contatto con il pubblico. Si è trattato a volte di scelte artistiche, a volte di scelte obbligate da alcuni fattori esterni, a volte invece di vere e proprie decisioni legate a idiosincrasie verso la natura stessa, allo stesso tempo esaltante e terrorizzante, dei concerti.
STADI
Il caso sicuramente più noto rimane quello dei Beatles. Il loro ultimo concerto ufficiale fu quello del 29 agosto 1966 a San Francisco nello stadio Candlestick Park, ai tempi sede delle squadre locali di baseball e di football americano. I Fab Four si esibiranno da allora una sola volta live, sulla terrazza della loro casa discografica Apple, al numero 3 di Savile Row a Londra, nel 1969, in quello che però fu più un happening estemporaneo che un vero e proprio show.
Il gran rifiuto dei Beatles non è difficile da capire. I quattro erano una live band e fino al loro ritiro dalle scene avevano sulle spalle un numero imprecisato di concerti, alcuni stimano la cifra approssimativa in 1400. Agli albori della loro carriera tennero ad Amburgo quasi 300 spettacoli tra il 1960 e il 1962, al Cavern di Liverpool pare che abbiano tenuto 295 esibizioni anche perché ai tempi era comune fare due concerti al giorno. Quando il loro successo divenne planetario, le loro tournée furono pressoché ininterrotte, ma nell’estate 1966 arrivò il punto di rottura. L’industria dello spettacolo non era ancora attrezzata per il successo e per il numero di spettatori che uno show del quartetto richiamava. Il vero momento di svolta per la loro carriera di performer avvenne nel tour americano del 1965 e l’ormai storico concerto allo Shea Stadium di New York. Per la prima volta un concerto rock si teneva in uno stadio. Furono venduti 55mila biglietti in pochi minuti. I Beatles si esibirono al centro del campo di baseball con il pubblico a decine di metri dal palco, stipato sulle tribune. Le urla dei fan sommergevano il suono degli strumenti e dei modesti e gracchianti amplificatori. Da quel momento gli spettacoli divennero via via sempre più frustranti e spaventosi, tra una tecnologia non ancora in grado di permettere mega eventi dal vivo e organizzatori incapaci di garantire le più semplici regole di sicurezza. L’apice fu raggiunto in un concerto a Manila quando, nel luglio del 1966, i Beatles si trovarono al Rizal Memorial Stadium un pubblico che ufficialmente doveva essere di 50mila persone, ma che probabilmente era tre, quattro volte tanto. Fu quindi inevitabile per Paul, John, George e Ringo, dopo aver concluso il concerto di San Francisco con Long Tall Sally di Little Richard, dire addio alle scene e concentrarsi solo sulle incisioni in studio. Il primo esito di questo ritiro fu la canzone Strawberry Fields Forever, incisa nel novembre del 1966 e diventata un singolo. Il primo album fu Sgt. Pepper’s Lonley Heart Club Band che vedrà la luce il primo giugno 1967, dando inizio alla straordinaria fase finale della carriera dei quattro di Liverpool. Il disco cardine della storia del rock non fu mai portato in tour dalla band che lo aveva creato. Il primo artista che suonò il brano Sgt. Pepper dal vivo fu Jimi Hendrix. Il chitarrista americano con il suoi Experience si èsibì il 4 giugno 1967 al Savoy Theater di Londra, aprì la sua esibizione suonando proprio la canzone dei Beatles che era uscita solo tre giorni prima. Nessuno fu più sorpreso di Paul McCartney che era tra il pubblico quella sera. «Per me è un ricordo straordinario – ha detto Paul – perché lo ammiravo tantissimo. E pensavo che quell’album doveva averlo davvero colpito perché era una domenica sera ed era stato in grado di suonarlo a soli tre giorni dalla pubblicazione».
CROLLO EMOTIVO
Il caso del quartetto però è il più celebre, ma non l’unico. Un altro artista che per un lunghissimo tempo ha deciso di ritirarsi dalle scene è stato proprio uno dei principali ispiratori dei Beatles dell’ultimo periodo, Brian Wilson dei Beach Boys. Quando il suo lavoro per l’album Pet Sounds fece capire a Lennon e McCartney che il pop poteva trasfigurarsi in qualcosa di più di una semplice raccolta di canzoni, l’artista californiano stava andando letteralmente in pezzi. Tutto cominciò il 23 dicembre 1964, quando Wilson ebbe un crollo emotivo durante un viaggio aereo diretto a Houston. I Beach Boys erano attesi in Texas per un concerto e Wilson, due minuti dopo il decollo iniziò a piangere e urlare, chiedendo di tornare indietro. L’aereo atterrò comunque a Houston, ma Brian non fu in grado di salire sul palco. Tornò in California il giorno dopo e per dodici anni si ritirò dalle scene e dalla vita pubblica rimanendo però (un po’ a singhiozzo) la principale fonte creativa della band. La sua condizione mentale andò via via degradando anche per colpa dell’uso di droghe allucinogene. Un suo ritorno sul palco avvenuto nel 1976 fu di breve durata. I concerti dal vivo per anni sono stai impossibili anche per colpa di allucinazioni uditive di cui Wilson è stato vittima in particolare durante le esibizioni pubbliche. Una vicenda tormentata, ma nel corso degli anni la sua malattia è stata tenuta sotto controllo e Wilson è tornato ad esibirsi dal 2000 in poi con una certa regolarità. Nel 2022 dovrebbe essere previsto un tour europeo. Il condizionale è d’obbligo per svariati motivi.
INCOMPATIBILE
Notoriamente incompatibile con i live è stato Andy Partridge, leader degli XTC. La band inglese è stata attiva dal 1972, pubblicando l’ultimo lavoro nel 2000 e regalando, in una carriera scandita da 12 album, alcuni momenti memorabili per il rock britannico. Andy per anni si esibì dal vivo affermandosi come uno dei frontman più carismatici della ruggente scena new wave inglese. Il 18 marzo 1982 gli XTC erano in tour in Francia. Durante un concerto a Parigi, improvvisamente Andy si dimenticò le parole di un brano. Si sfilò la chitarra e barcollò fuori dal palco. I suoi compagni chiusero alla meno peggio il pezzo, corsero dietro le quinte e videro il loro cantante in terra, rannicchiato in posizione fetale. Cosa accadde lo ha raccontato lo stesso Partridge in un’intervista del 2012. La band era reduce del successo dell’album English Settlement e la casa discografica voleva consolidare la fama degli XTC a livello globale: «Fummo costretti ad andare on the road e la cosa iniziò a consumarmi, ero sul palco e pensavo ‘Odio essere qui’. La rabbia di essere costretto ad andare in tour e la fatica emotiva iniziò a manifestarsi con il panico da palcoscenico che fino ad allora non avevo mai provato. Non aiutò il fatto che la mia condizione mentale fu esacerbata da una crisi di astinenza da Valium, un calmante che assumevo sin dalla mia prima adolescenza. Non sapevo cosa fosse l’astinenza. Stavo perdendo la memoria, avevo episodi di amnesia. Avevo dolore allo stomaco, non riuscivo a muovere le gambe». Dopo l’episodio di Parigi, gli XTC fecero un altro tentativo. Era già programmata una tournée americana. Per la prima volta la formazione inglese sarebbe stata headliner. Ma dopo un concerto a San Diego, le date successive vennero annullate e gli XTC cessarono di essere un gruppo live ad eccezione di alcune rare comparsate radiofoniche o televisive. La loro attività in studio è proseguita con successo, nel 1986 hanno pubblicato l’album Skylarking, ritenuto uno dei migliori del loro repertorio. Partridge ha prodotto musica anche con il progetto psichedelico The Dukes of Stratosphear e dal 2000 ha svuotato i suoi archivi musicali dando alle stampe una serie di raccolte intitolate Fuzzy Warbles (gorgheggi sfumati).
DIVE
Ma il panico da palcoscenico è stato una costante della vita anche di una diva come Barbra Streisand che nel 1967 durante un concerto a Central Park si dimenticò improvvisamente le parole delle sue canzoni. Davanti a lei c’erano 127mila spettatori. L’esperienza fu così traumatizzante che per ventisette anni cessò di esibirsi. Questo non le impedì di produrre musica e recitare in film musicali, ma solo all’inizio degli anni Novanta la star ha ripreso confidenza con il palcoscenico, cantando assistita costantemente da un «gobbo» che la guida sia per quanto riguarda i versi dei brani sia per le battute da dire tra una canzone e l’altra. «Non sono guarita – ha detto Barbra Streisand in un’intervista alla Associated Press del 2016 nel corso di una serie di concerti americani -, devo riuscire a controllare la paura. Ma mi chiedo se c’è qualche performer che riesca a non averla. È difficile salire su un palco e chiedersi: ‘Piaceranno le canzoni che ho scelto? La mia voce sarà all’altezza?’. Per quanto mi riguarda devo focalizzarmi su uno scopo e lavorare duro per ottenerlo e dire ok, faccio questo tour».
Il panico ha tenuto per anni lontana dalle scene anche Carly Simon, caduta in una brutta crisi durante un concerto a Pittsburgh nel 1981. La cantante, che ai tempi dominava le classifiche, decise di reagire all’episodio con grande schiettezza. «Avevo due scelte – dirà in un’intervista al New York Times -: lasciare il palco o dire al pubblico la verità. Decisi di spiegare che avevo un attacco d’ansia e furono incredibilmente comprensivi. Mi dissero ‘Vai avanti, siamo qui con te’. Ma dopo due canzoni la situazione non migliorava, e suggerì che forse le cose sarebbero andate meglio se qualcuno fosse salito con me sul palco. Salirono sul palcoscenico circa 50 persone. Mi abbracciarono, mi dissero ‘Ti vogliamo bene’. Riuscii a finire lo spettacolo». Purtroppo non fu una crisi isolata. Il giorno dopo Carly svenne prima del concerto e si prese una pausa dai live.
SCELTE IMPREVISTE
La lunga assenza dalle scene dell’inglese Kate Bush è stata invece dettata da ragioni esclusivamente artistiche e creative. L’interprete londinese, regina del pop raffinato alla fine degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, non ha più avuto il suo nome su un cartellone per 35 anni. Non fu una scelta prevista, ha spiegato poi Bush, ma solo una decisione creativa: «Ogni volta che finivo un album – ha detto – mi dedicavo a progetti visuali che, anche se erano dei corti, mi richiedevano moltissimo lavoro. Così ho cominciato ad allontanarmi dall’idea di essere un’artista da performance e diventare un’artista visuale e da sala d’incisione».
La lunga pausa comunque è finita nel 2014 quando Kate Bush è ritornata davanti a un microfono e a un pubblico per 22 date all’ Hammersmith Apollo di Londra. Tutti i suoi concerti sono stati sold-out. Più breve, ma altrettanto eclatante fu l’assenza dalle scene degli Steely Dan, che rimasero una band senza esibirsi per ben 18 anni dal 1974 al 1992. I due padroni della band, Donald Fagen e Walter Becker, dopo l’album Pretzel Logic scelsero semplicemente di concentrarsi sul lavoro in studio congedando i loro musicisti e producendo, affiancati da artisti scelti di volta in volta, album di grande successo. L’amore per la scena però non si è spento e negli ultimi vent’anni hanno praticamente esaurito la loro produzione discografica concentrandosi sui concerti (vedi Alias del 19 giugno 2021). Nonostante la morte di Becker, avvenuta nel 2017, Fagen ha in programma comunque di continuare a portare dal vivo il nome e le canzoni degli Steely Dan.
Nel 2019 si è spenta per sempre la voce baritonale del cantante americano dell’Ohio (ma inglese d’adozione) Scott Walker, noto soprattutto per i suoi successi degli anni Sessanta. Walker era un artista che, emerso come idolo in Gran Bretagna in un’età dell’oro per la canzone inglese, ha in realtà proseguito la carriera in direzioni differenti, concentrandosi prima su un pop barocco e raffinato, poi dedicandosi alla sperimentazione e finendo la sua traiettoria creativa nei territori dell’avanguardia.
La sua fama di personaggio enigmatico e di difficile interpretazione è stata cementata anche dalla sua assenza dai palcoscenici. Dalla fine degli anni Sessanta in poi sono state rarissime le sue esibizioni che sono cessate del tutto dal 1978. Narra la leggenda che il suo addio definitivo fu dovuto a un assolo di tromba stonato di un suo musicista. Ma in realtà nella sua vita Walker ha spesso lottato contro alcolismo e depressione, affrontando tante crisi ma anche tante rivoluzioni e conversioni artistiche.
NON ARRIVANO I NOSTRI
Il novero dei grandi nomi che hanno deciso di schivare il pubblico non potrebbe essere completo senza citare i due eclatanti casi italiani: Lucio Battisti e Mina. Probabilmente i due maggiori interpreti della canzone all’italiana, hanno scelto non solo di non esibirsi più dal vivo, ma di eclissarsi completamente dalla vita pubblica. Battisti non amò mai il rapporto con la gente. All’attivo ha avuto solo due tour, uno nel 1969 e l’altro l’anno successivo. Poi per lui ci furono sempre più sporadiche apparizioni televisive che in Italia finirono nel 1972. Battisti comparve come una meteora su emittenti estere, la tv canadese, la televisione svizzera. Qui tenne la sua ultima esibizione. Era il 1980 e Lucio chiuse la trasmissione Musik & Gäste del canale nazionale in lingua tedesca cantando in playback Amore mio di provincia, un singolo tratto dal suo ultimo disco con Mogol, Una giornata uggiosa. È vestito con un’improbabile camicia stazzonata a strisce rosa e dei pantaloni bianchi, in uno scenario vacanziero, circondato da palme da spiaggia. La sua esibizione ancorché mimata è comunque quasi scatenata per i suoi standard. Per lui poi ci fu solo una forzata reclusione e dischi sempre più sperimentali con il paroliere Pasquale Panella.
Mina tenne la sua ultima esibizione pubblica il 23 agosto 1978 al teatro tenda Bussoladomani di Viareggio, una performance documentata nell’album Mina Live 1978, in cui eseguì anche una versione di Stayin’ Alive dei Bee Gees. Poi per lei una costante produzione discografica di enorme successo ma una vita lontana dai riflettori e dallo sguardo del pubblico. La sua scelta fu dettata probabilmente dal solo desiderio di avere una vita privata.
Mina era dagli anni Cinquanta una delle star più popolari della musica e dello spettacolo italiano e il prezzo di tanta attenzione aveva cominciato a stancarla. Il tour del ’78, arrivò dopo un periodo di silenzio, fu particolarmente difficile e si interruppe per una polmonite che la costrinse a una lunga convalescenza a Lugano, diventata poi il suo buen retiro.
La sua ultima intervista fu concessa a una radio libera di Taranto e oggi può essere ascoltata in rete. I ragazzi intervistatori, decisamente goffi, invece di farla arrabbiare misero la cantante a suo agio.
Le chiesero come mai fosse ritornata sulle scene dopo una lunga assenza. Mina rispose: «È tanto bello cambiare idea! ». Da allora però non l’ha più fatto.