Il programma La costruzione di una cosmologia, ideato da Andrea Mastrovito, Andrea Nacciarriti, Giuseppe Stampone, Gian Maria Tosatti, un gruppo di artisti tra i trenta e i quarant’anni, nasce dalla necessità di avviare un procedimento analitico capace di mettere a sistema l’attuale panorama artistico italiano, in tempi in cui il ruolo della critica sembra indebolito, se non assente. Un percorso culturale itinerante e in progress per investigare temi specifici scelti di volta in volta da ciascun artista-curatore, attraverso l’organizzazione di incontri e dibattiti nelle proprie città. L’obiettivo è quello di coinvolgere un numero sempre maggiore di artisti con cui condividere riflessioni e stabilire direzioni per una nuova critica militante.
Abbiamo incontrato Tosatti, curatore del primo ciclo intitolato Il ruolo sociale dell’artista, che si svolgerà presso il museo Hermann Nitsch di Napoli a partire da domani (ore 18.30) con un dialogo tra Stampone e Alfredo Pirri.

Cosa ha spinto un gruppo di artisti a pensare e realizzare un programma culturale così articolato? Lo stesso titolo, «La costruzione di una cosmologia», sembra emblematico…

È un momento critico della Storia. Non c’è nemmeno bisogno

di spiegarlo. E se guardiamo a tutte le fasi complesse come questa, nel passato, anche solo quello recente, ci accorgiamo che è dalla voce degli artisti che le persone hanno trovato le parole per capire, per rilanciare, per andare oltre. Mi vengono in mente Brecht, Pasolini, Beuys. La loro presenza nella società era strutturale.

Questo vale per il recente passato. E oggi?

Ecco il punto. Sono decenni, ormai, che in Italia non si fa una vera in

dagine sul ruolo degli artisti. E su quale sia la generazione di artisti che in questo momento sta dialogando con la realtà per darne una versione leggibile, per costruire lenti attraverso cui individuare una direzione. Per disegnare vessilli sotto i quali procedere alla conquista di un futuro che è quello che si desidera e non quello a cui si viene incatenati. Il nostro obiettivo è quello di contrastare questo stato di «semi-incoscienza di classe».
Abbiamo mancato molti appuntamenti, negli anni immediatamente passati. Dalle Biennali di Venezia, alla Quadriennale di Roma che dovrebbe presentare, ogni quattro anni, proprio il ritratto di una generazione artistica partendo da un confronto su identità e tendenze. L’anno scorso non si è proprio fatta. E così, abbiamo pensato che se gli appuntamenti canonici non riescono a dare risposte, potevamo crearne uno noi.

In che modo si è sviluppata l’idea?

Vivevo a New York, allora. Avevo appena saputo che la Quadriennale non si sarebbe fatta. Così invitai a cena Andrea Mastrovito, An

drea Galvani, Davide Balliano e Ian Tweedy, un gruppo di artisti con cui il confronto era diventato una pratica abituale fuori dall’ambiente narcolettico italiano, e ci dicemmo che non potevamo perdere l’occasione di un grande momento di riflessione.
Dovevamo iniziare un processo di auto-analisi per capire cosa significasse oggi essere un artista italiano. L’intento era anche tentare di pensare una scena artistica in cui gli artisti potessero riconoscersi davvero. Da lì siamo poi arrivati al gruppo che ha deciso di dare una reale organizzazione e un pensiero a questo percorso e che vede con me, oltre a Mastrovito, anche Giuseppe Stampone e Andrea Nacciarriti.

Il primo capitolo del programma si svolge a Napoli con la tua curatela…

Qui a Napoli si terrà il «volume 1». Abbiamo voluto iniziare col tema capitale: il nostro ruolo nella societ

à. E per farlo, abbiamo chiesto l’aiuto di altre generazioni artistiche che offrissero la loro esperienza. Con noi, ci saranno Alfredo Pirri, Giuseppe Gallo, Gianfranco Baruchello, Stefano Arienti e Jannis Kounellis. Avremo cinque dialoghi tra due artisti, senza moderatore e con un pubblico testimone. In ogni incontro, un artista della mia generazione discuterà con un maestro, affrontando temi in cui è racchiusa un po’ tutta la declinazione del presente. Gli incontri saranno su politica, economia, utopie del quotidiano, bellezza e identità. Un incontro al mese.

Come hanno risposto i «maestri» al vostro invito?

Hanno dimostrato un entusiasmo che ha sorpreso finanche me. Ma, d’altra parte, sono artisti che han

no già saputo scrivere una pagina di Storia e probabilmente sanno come sia possibile cominciarne un’altra. Sentirmi dire da loro che questo percorso era necessario, mi ha dato le motivazioni per portarlo dall’idea alla realizzazione

.

In che modo proseguirete dopo questo primo volume?

Ogni artista di questo primo gruppo organizzerà altre tappe nelle città in cui lavora. Iniziamo con Napoli perché io ora vivo qui. Poi ci saranno tappe altrove. Già in autunno. Ogni nuovo pezzo del progetto sarà diverso, per tema e per modalità di presentazione. È ancora presto però per parlarne.
Hai pensato alle reazioni che susciterai nel mondo dell’arte?
Cerchiamo di essere meno auto-refe

renziali. Mi interessa di più sapere se, a lungo termine, saremo capaci di generare delle reazioni nella società, nelle nuove generazioni di studenti, di italiani. Dostoevskij diceva che la bellezza salverà il mondo. È questo il «mondo dell’arte» che mi interessa.

.. Non sono un curatore. Sono un artista. Gli artisti devono accende

re fuochi. Brecht diceva che nei tempi bui sarà il silenzio dei poeti ad esser condannato. Reload ha dimostrato come fosse possibile uscire da un’impasse economica. Ora proviamo insieme a dimostrare come uscire da un’impasse culturale.