Con l’elezione di Matteo Renzi a segretario del Pd si riaccende il dibattito sul lavoro: al centro torna l’articolo 18, tutela che il leader «ribelle» vorrebbe negare ai neo assunti per incentivare le imprese ad attivare nuovi contratti. La miccia è partita da un articolo del Corriere della sera , che ha raccolto un giro di opinioni nel think tank renziano, il gruppo di giovani politici ed economisti che sta approntando il Job Act, ovvero la proposta sul lavoro che – lo ha anticipato ieri lo stesso Renzi – il Pd dovrebbe presentare a gennaio.

Il «faro» del gruppo è Pietro Ichino, che da tempo propone un contratto privo del diritto al reintegro (e magari a tutele crescenti nel tempo) da riservare ai giovani, in modo da renderli più «appetibili» per il mercato in tempi di crisi.

Se questa è in soldoni la proposta, ieri Renzi – intervenuto alla presentazione del nuovo libro di Bruno Vespa – ha cercato di «smontare» la mina legata inevitabilmente all’articolo 18, polemizzando tra l’altro con Angelino Alfano, presente anche lui all’immancabile evento di dicembre.

«Se si riparte dal derby ideologico sull’artico18 sei finito: è il modo per andare in melma», ha spiegato il segretario del Pd.«La proposta l’hanno fatta Gutgeld e Faraone che sono amici, per carità – ha aggiunto poi, riferendosi alle ricette anticipate dalla sua squadra – ma la proposta che faremo sul lavoro la tireremo fuori a gennaio».

Insomma, per Renzi non si deve fare l’errore di partire dall’articolo 18. Meglio i temi “collaterali”, così da evitare gli scontri: «Non mi tiro indietro dalla discussione sull’articolo 18 ma è come guardare il dito e non la luna – ha concluso – Non ho mai incontrato nessun imprenditore che mi ha detto che è fondamentale cancellare l’articolo 18 per assumere, nè un operaio che rifiuterebbe un lavoro senza articolo 18. È come la coperta di Linus: è un dibattito che riguarda gli addetti ai lavori e si può affrontare dopo aver parlato di molti altri temi».

C’è una parte del Pd che però si contrappone già chiaramente e nettamente alle proposte renziane, e si può rappresentare attraverso il «no» espresso da Cesare Damiano, già ministro del Lavoro e oggi presidente della Commissione Lavoro della Camera: «Se l’opinione di Matteo Renzi è quella di rendere liberi i licenziamenti per far crescere l’occupazione, cancellando l’articolo 18 – dice – si tratta di un’idea vecchia di 10 anni e che non può funzionare. L’occupazione cresce se il Paese si sviluppa in modo robusto: la previsione per il 2014 è addirittura quella di un Pil in leggero incremento con una disoccupazione che passa dall’11 al 12%. Dovrebbe far riflettere».

«Quanto alla proposta Ichino – continua Damiano – la domanda è sempre la stessa: “Come può definirsi a tempo indeterminato un contratto che non prevede il reintegro?”. Basterebbe chiamarlo con il suo nome: contratto a termine».

Contraria anche la Cgil, con la segretaria Serena Sorrentino (che nell’esecutivo guidato da Susanna Camusso ha la delega su questi temi): «Mi pare che si aggiungerebbe soltanto una nuova tipologia di contratto precario ai 46 già esistenti, che a quanto ho capito non si vorrebbero ridurre. Tra l’altro, introducendo un dumping rispetto a contratti a termine, indeterminati e di apprendistato. La riforma Fornero ha già modificato l’articolo 18: non si assumeva prima, e si assume ancor meno adesso. Il modo per incentivare le assunzioni sta nel far ripartire la domanda, creando crescita. Quanto al mercato, vorremmo che si semplificasse più che complicarlo: riducendo le attuali 46 forme di contratto».

Se si chiede a Sorrentino se con l’avvicinarsi del Congresso Cgil, a maggio, si potrebbe formare un’area «renziana» che magari voglia appoggiare i nuovi contratti, la risposta è no: «Per ora la Cgil mi pare tutta attestata sulla posizione che ho espresso». Ancora più radicale Giorgio Cremaschi, che firma il documento di minoranza al Congresso: «Matteo Renzi è il peggior lascito dell’era berlusconiana».