Il numero in questi giorni sulla bocca di tutti, in Spagna, è il 155. Un articolo della Costituzione fino a poco tempo fa sconosciuto, perché non era mai stato applicato prima d’ora. Solo nel 1989 ci si arrivò vicini: l’allora premier socialista Felipe González agitò il 155 contro la Comunità autonoma delle Canarie che si rifiutava di adeguarsi a obblighi fiscali derivanti dall’adesione del Paese iberico alla Comunità economica europea.

La divergenza si concluse senza bisogno di commissariare l’amministrazione dell’arcipelago dell’Atlantico. Questa volta, invece, lo si è attivato davvero: il Senato ha autorizzato l’esecutivo di Mariano Rajoy ad agire, e il risultato è la destituzione dell’intero Govern di Barcellona, la chiusura degli uffici di rappresentanza all’estero della Catalogna (salvo presso la Ue), la rimozione del direttore generale della polizia autonoma (non del comandante Josep Lluis Trapero) e, soprattutto, lo scioglimento del Parlament e la convocazione di elezioni anticipate.

Al di là della valutazione politica, si tratta di azioni costituzionalmente legittime? Fra i giuristi la discussione è aperta. Per alcuni, infatti, il 155 non consente al governo centrale di arrivare sino allo scioglimento dell’organo legislativo e al licenziamento in tronco di quello esecutivo. Il testo costituzionale parla genericamente di «misure necessarie per obbligare la Comunità autonoma al compimento forzoso» di quegli «obblighi» a cui essa si sottragga illegittimamente «o per la protezione del menzionato interesse generale».

Fra tali misure non rientrerebbero quelle adottate, anche perché nello stesso articolo si prevede che il governo centrale possa «dare istruzioni a tutte le autorità della Comunità autonoma». Autorità che, evidentemente, devono esserci, anche solo per poter essere costrette ad agire contro la propria volontà.

Difficilmente, però, il governo incontrerà ostacoli legali di fronte a sé. In astratto è ovviamente possibile un ricorso alla Corte costituzionale da parte delle persone destituite dal loro incarico, ma il problema è che una formulazione così generica della norma, da un lato, e circostanze politiche così eccezionali, dall’altro, porterebbero quasi certamente a un rigetto delle istanze anti-155.

A mancare è una legge attuativa di tale articolo della Costituzione, che stabilisca forme e limiti del «commissariamento» dell’amministrazione autonoma: in 40 anni di democrazia nessuno si è preso la briga di scriverla. E quindi oggi i binari su cui corre l’applicazione di questo articolo sono quelli determinati dall’accordo politico fra i partiti che ne hanno votato l’attivazione in Senato.

Si deve al Psoe il fatto che, almeno per ora, rimanga al di fuori dell’intervento del governo centrale la direzione del servizio radiotelevisivo pubblico catalano, sinora sotto lo stretto controllo dell’esecutivo regionale, su cui pesano non poche accuse di faziosità filo-indipendentista.

Non ci sarà nemmeno nessuna sorta di «super-commissario prefettizio» che prenda il posto del presidente destituito Carles Puigdemont a capo dell’amministrazione, come invece era sembrato da ipotesi fatte circolare nei giorni scorsi.

Chi difende l’esistenza e l’applicazione del 155 sostiene che si tratti di una norma tipicamente prevista negli stati federali. In effetti, la Germania è il modello. Il Grundgesetz, la Costituzione tedesca, ha un articolo che fu poi praticamente copiato dal costituente spagnolo del 1978: è il 37, che affida al governo centrale, dopo l’approvazione del Bundesrat (la camera dei Länder), il potere di «prendere le misure necessarie» per obbligare un Land a compiere i suoi doveri verso la Federazione.