Paolo Baratta, che della Biennale veneziana è stato presidente (e non certo in senso burocratico) per circa 20 anni, mette pudicamente come sottotitolo al suo Il Giardino e l’Arsenale (Marsilio 2021, pp. 470, 20 euro), «una storia della Biennale». Baratta è uomo di cultura (presidente della meritoria Accademia Filarmonica Romana) ma è stato anche più volte ministro, con Monti, Ciampi e Dini. In realtà non manca nel libro una «storia« della Biennale lungo quasi due secoli, e con acume e lucidità ne racconta le ambiguità politiche e i grandi meriti per la cultura non solo italiana. Ma quello che rende curiosa e attraente la sua scrittura, è la spiegazione pacata e «logica» di come l’ente veneziano si sia andato trasformando.

SOPRATTUTTO da quando, negli ultimi decenni, ha lasciato l’antica veste orgogliosa da «esposizione universale» delle arti, per diventare, con il nuovo assetto statutario, a pieno titolo un ente «imprenditore» di cultura. Due aspetti che rimangono complementari certo, ma sono ben raffigurati nei due spazi simbolo che danno il titolo al libro, il Giardino dei padiglioni delle arti visive e L’Arsenale che abbandonata la propria origine bellicosa, è ora itinerario prodigioso tra le arti, attraverso antiche Corderie, e successive Tese oltre le Gaggiandre, compreso un teatro nato miracolosamente al suo ingresso. Il racconto di Baratta è molto puntuale sulle successive trasformazioni, ma non si pensi a una cronaca istituzionale: ci sono racconti impagabili di incontri con i massimi artisti della scena mondiale, entusiasti di lavorare, con la propria fantasia, dentro una istituzione pubblica. Soprattutto hanno il massimo interesse quelli che il presidente può davvero esibire come «i suoi gioielli»: la Biennale College, master class intensive da cui sono usciti già i migliori artisti di nuova generazione, e L’Archivio Storico della Biennale, che dalla nuova sede di Marghera è il riferimento sicuro per chiunque voglia indagare la storia dello spettacolo.