Artemisia allo specchio. Breve storia delle mie vite (pp. 240, euro 15, traduzione di Anna Tauzzi) edito da Vita Activa è un romanzo scritto nella forma di un diario dialogato in cui ogni voce svolge un proprio disegno melodico. Da questa trama polifonica emerge l’evocazione della biografia di Artemisia Lomi Gentileschi, nella complessa faccenda che è il rapporto tra finzione e storia. Angèle Paoli recupera alcune verità dai documenti d’archivio operando un filtro sugli eventi che preferisce narrare: grazie alla finzione, la storia sembra perdere i confini e andare aldilà della durata e della contingenza dei fatti arrivando fino ai tempi che ci sono vicini.

POETA E SCRITTRICE còrsa, Angèle Paoli parte dal desiderio di un interscambio tra la narrazione pittorica nella lingua scritta e la narrativa nel pittorico. Pittura e scrittura si mescolano nei pensieri e nelle parole di Artemisia, che nel suo diario immaginato, si esprime in prima persona, con tutte le conseguenze del caso. Il dispiegarsi frammentario della vita pittorica di Artemisia Gentileschi si manifesta nei mutevoli momenti del suo divenire personale. La narrazione dei suoi anni di apprendistato, gli anni romani, i fiorentini e i napoletani, si configurano come una narrazione del sé relazionale e artistico: il sé in relazione a Prudenzia, la madre adorata e persa precocemente, al padre Orazio, al marito Pierantonio Stiattesi, alle sue modelle, alle sue figlie e ai suoi figli, ma anche agli esponenti più noti del panorama artistico-intellettuale italiano dell’epoca e ai vari mecenati. La figura della pittrice è inquadrata nell’ambito di un sistema di relazioni, di amicizie tra le quali spiccano Michelangelo Buonarroti il Giovane, Francesca Caccini, Simon Vouet, Galileo Galilei, Francesco Maria Maringhi, Cosimo II de Medici e molti altri.

ANGÈLE PAOLI si serve della letteratura per parlare di arte. Si affida alla pittura per fare una narrazione cronologica dell’esistenza di Artemisia Gentileschi, che scorre attraverso la riflessione e la travagliata realizzazione dei suoi quadri. Non possiamo non pensare alla Artemisia (1947) di Anna Banti, ai suoi dialoghi appassionati con la pittrice e al suo modo di parlare di sé stessa parlando di lei. Se in Banti la voce narrante in prima persona inscenava una teatralizzazione della sua autobiografia e aveva luogo tramite la biografia dell’artista, l’Artemisia di Paoli parla invece in prima persona, nella forma di un diario intimo, interlocutorio e confidenziale con Isolda, un alter ego trasognato.
«Isolda, dolce compagna dei miei giorni, dimmi finalmente chi sei. Dimmi con quali occhi mi guardi da quando mi segui lungo il percorso ramingo della mia arte. Misia, lo sai, sono Isolda, il tuo alter ego. Il tuo lato silenzioso allo specchio. La tua sorella riflessa. Ti osservo dal terrazzo sotto il tiglio le cui fronde mi proteggono dal sole implacabile». Angèle Paoli sceglie di parlare in prima persona solo nelle ultime pagine e, rivolgendosi a Artemisia, le spiega nel dettaglio i motivi del suo attaccamento alla sua figura e la sua passione per il suo operare.

I QUADRI di Artemisia Gentileschi sono descritti tramite l’immaginazione della loro realizzazione, e allora si allude alle modelle e ai modelli, ai motivi via via scelti, all’iconografia, alla cernita dei colori, dei tessuti da rappresentare, ai tempi e i luoghi della pratica pittorica.
Tramite queste descrizioni Artemisia si spiega, esprime i suoi dubbi e rivede le sue scelte secondo l’ipotesi o la concessione che un’artista del XVII secolo abbia la stessa o una simile profondità rispetto alla nostra vita psicologica. Il romanzo si costruisce sull’esperienza vissuta della pittrice: la biografia non è esiliata dall’analisi e dalla lettura dei quadri, ma si combina a un tentativo di comprensione storica, a un’analisi della produzione di segni e alla descrizione di una cifra stilistica originale.
L’interpretazione dei dipinti di Artemisia Gentileschi come espressione della sua esperienza di stupro non totalizza il panorama dell’esegesi esecutiva: nonostante il processo che vede Artemisia e Orazio Gentileschi contro Agostino Tassi occupi una porzione rilevante della descrizione degli anni di apprendistato della pittrice, sono la perdita precoce della madre e il conseguente senso di abbandono e strappo violento dal corpo materno ad accompagnare la sua esistenza.

IL DISINTERESSE del padre, o meglio il fatto che Orazio Gentileschi abbia citato in giudizio Agostino Tassi per una sorta di «perdita» della figlia e allo stesso tempo per la perdita-trafugamento di un dipinto, rivela la portata del contesto d’abbandono genitoriale. La relativa indignazione per la gravità dello stupro subito dalla figlia e la focalizzazione sulla mancata promessa di matrimonio successiva rivelano la disumanità dei parametri patriarcali. Il libro mette in luce come tale disumanità si nutra della vulnerabilità di Artemisia, nutrita dal lutto per la perdita della madre e l’assenza di solidarietà femminile. Nelle pagine di Angèle Paoli tale vulnerabilità tenta di esternarsi attraverso la pratica del dialogo, aprendosi alle lettrici e ai lettori, secondo il dispiegamento in prima persona della soggettività autoriale e artistica della pittrice. La ribellione dalla figura paterna, il rapporto ambivalente col padre-maestro e l’inesorabile sentimento d’abbandono accompagnano l’esistenza di Artemisia Gentileschi al pari del suo desiderio di riuscita e di realizzazione pittorica.