Strano progetto questo Et manchi pietà, ultimo lavoro degli Anagoor, realtà dalla marcata vocazione sperimentale che con la propria proposta di spettacolo si è affermata tra i teatri emergenti degli anni Duemila. Qui, in stretta collaborazione con l’ensemble Accademia d’Arcadia (che per l’occasione ha inciso un concerto), la compagnia di Castelfranco Veneto predispone un dispositivo che fa dello sconfinamento il proprio fondamento: un remix, un’operazione di manipolazione e combinazione di forme, modi e pratiche mediali differenti che non si identifica con la forma delle sue parti bensì in un’esperienza audiovisiva nuova.

Una via crucis in tredici quadri (frutto d’ibridazione tra musica antica e video art) e due meditazioni (condotte in scena da Moreno Callegari, attore di Anagoor) fra le pieghe della biografia di Artemisia Gentileschi. Il libretto di scena segue la struttura dello spettacolo: per ogni quadro, oltre a venire indicata la corrispettiva aria musicale (brani ripresi da Monteverdi, Merula, Strozzi, Castello, Landi, Rossi, Falconieri, Fontana, Trabaci, Marini), è riportato un appunto biografico o, come in alcuni casi, degli estratti ripresi dal testo di Roberto Longhi Gentileschi padre e figlia.

Da quanto evidenziato possiamo quindi dire che Et manchi pietà si configura come una vera e propria performance ipertestuale (orgogliosamente estranea alle convenzioni sceniche e quindi alle facili classificazioni), strutturata secondo la progettualità complessa del teatro musicale. Il tema del fuoco è centrale nella ricerca teatrale di Anagoor (Virgilio brucia, lo spettacolo precedente, fin dal titolo, ne è dimostrazione), e questo nuovo lavoro, rimarca l’intento, aprendosi sulle fiamme che ardono le opere di Artemisia.

Del resto c’è un incendio all’origine del processo di riscoperta e rivalutazione artistica della Gentileschi. Fu Anna Banti, moglie di Longhi, che ispirandosi alla vita tumultuosa dell’artista scrisse un romanzo decretandone il successo negli anni del dopo guerra. Il manoscritto originale di quel testo, però, venne perso, bruciato dalle truppe tedesche in ritirata. Il libro poi pubblicato nasce quindi dal ricordo, «il ricordo – come riportato nelle note del libretto di scena – di tutte quelle pagine bruciate e quel primo tentativo di ritrarre Artemisia, divorato ormai dalla fiamme, è il motore» dello spettacolo.