Santa Croce sull’Arno (Pisa), 20 ottobre 2018. L’intuito è la conoscenza immediata che per Nari Ward (St. Andrews, Giamaica 1963, vive a New York) è centrale nell’elaborazione di un percorso in cui la creazione coincide con il riciclo e la trasformazione. Arrivando per la prima volta a S. Croce sull’Arno, nel giugno 2018, a catturare l’attenzione dell’artista era stata una tana di conigli selvatici tra le piante d’alloro in uno stabilimento di depurazione delle acque. Mentre a Pisa, che dista una quarantina di chilometri, rimase affascinato dalla dimensione sospesa della Luminara di San Ranieri, la festa patronale che si svolge il 16 giugno, durante la quale l’immagine notturna della città è tutta un baluginìo di luci di fiammelle, moltiplicate dal riflesso sulle acque dell’Arno.

Esperienze che, inseguendo l’intuito, hanno una loro pregnanza nella realizzazione di Holding Patterns, per Arte – impresa – territorio (fino al 6 gennaio 2019) a Villa Pacchiani Centro Espositivo di Santa Croce sull’Arno, V edizione di un progetto curato da Ilaria Mariotti che vede il coinvolgimento del Comune di S. Croce sull’Arno con UNIC – Concerie Italiane e Lineapelle Srl, galleria Continua e Associazione Arte Continua, Fondazione per le Arti Contemporanee in Toscana, Accademia di Belle Arti di Firenze e Istituto Comprensivo S. Croce sull’Arno. «Il territorio, che è intrigante di per sé, per via della presenza delle grandi industrie manifatturiere della lavorazione di pellame, è stato il punto di partenza per produrre questo progetto, tornando sul posto tre volte» – afferma Ward a cui il New Museum di New York dedicherà la retrospettiva nel febbraio 2019. «La prima cosa che mi ha colpito è stata la presenza di diverse comunità coinvolte nei processi produttivi dell’industria conciaria. Molti sono giovani immigrati africani. Ero curioso di capire le dinamiche, soprattutto in questo difficile clima politico che non riguarda soltanto l’Italia. Nel video e nelle fotografie Holding Patterns ho portato le loro storie, soffermandomi su due giovani, una donna e un uomo, in piedi davanti alla Torre di Pisa nell’atto di fermare la torre pendente, un gesto molto frequente nei turisti».

Una «migrazione» in un luogo turistico in cui gli ambulanti immigrati, sebbene non siamo presenti nelle inquadrature, sono lì intorno e per sopravvivere devono tentare di vendere la loro mercanzia taroccata. I due protagonisti, con le loro le pelli indosso, diventano una specie di appendiabiti – «la materia era così bella e seduttiva che non ho dovuto lottare per ottenere delle belle immagini» – i loro volti immobili, in primo piano, sono accarezzati da un vento quasi impercettibile.
«Come potrebbe essere l’immagine di un immigrato trasmigrata in quella di un turista?», si è chiesto l’artista riflettendo sui temi di possesso, appartenenza e visibilità. «Uno è una realtà del tempo libero, l’altro del lavoro, ma entrambi sono stati temporanei che un individuo può controllare con diversi gradi di azione». Nel suo esercizio formale egli allude anche al viaggio – alla trasformazione – verso una nuova vita. Un concetto che viene ripreso analizzando le materie impiegate per la realizzazione delle opere (inclusa la stupefacente Ballast of Miracles), plastica, plexiglass, pelle, ferro, resine (in parte objets trouvés) e soprattutto il cuoio nel suo essere «una forma di controllo della natura».
Le opere riflettono, in particolare, la tensione nel combattere il deterioramento di un materiale organico come il cuoio che, senza il processo di concia, sarebbe putrescente. Preservarne il deterioramento è interessante per Ward non tanto per la sfida imprenditoriale nel realizzare un prodotto desiderabile per il mercato, quanto per il controllo chimico nel passaggio da uno stato all’altro: natura e artificio. Back to Nature Treatment è l’installazione che sintetizza questa poetica, restituendo allo spettatore la memoria viva dell’esperienza dell’artista (anche attraverso l’olfatto) attraverso uno scenario in cui l’alloro, pianta rigogliosa di simbologie (tra cui gloria e trionfo) cresce tra arbusti-tubi che alludono a quelli che trasportano le acque del depuratore, lì dove si compie il rito rigenerante della bonifica. Tra i materiali impiegati c’è anche il KEU (granulato sinterizzato), prodotto finale del trattamento di recupero dei fanghi di depurazione che, dopo la miscelazione con carbonato di calcio, è impiegato per la produzione di granulati inerti per l’edilizia (HSC) e conglomerati bituminosi (HCB) per asfalti. Holding Patterns è anche un viaggio nel mistero stesso della materia che con la sua fisicità definisce un luogo parallelo di possibilità.