Roma, 1 marzo 2019. Il guanto da kickboxing appeso al soffitto è immobile, ma potrebbe riprendere il suo movimento da un momento all’altro. Il colore rosso della finta pelle con cui è realizzato vibra, restituendo energia all’oggetto. È così anche per i numerosi giocattoli – l’asino blu, la pecorella, il grande orsacchiotto di peluche, la testa della tartaruga Ninja, i pezzi di Lego e anche il robot Emiglio – che Andrea Sampaolo (Roma 1966) ha trovato per le strade di Roma accanto ai cassonetti dell’immondizia. Lo slancio visionario dell’artista e designer è la molla che lo spinge alla raccolta di ciò che non serve più. Il recupero dello scarto, che sia urbano o industriale, è di per sé un atto di generosità che gli viene restituita in termini di creatività.

Partendo da questa consapevolezza – sollecitata dalla condivisione della frase di Gianni Rodari «non perché tutti siano liberi, ma perché nessuno sia schiavo» – Sampaolo costruisce il percorso espositivo della mostra personale L’impossibile è possibile alla Fondamenta Gallery di Roma (fino al 15 marzo). Un obiettivo importante che arriva in un momento decisivo della sua vita personale e artistica, segnata dalla scoperta del riciclo (o meglio dalla riscoperta considerando che già nel 2007 a Delft, in Olanda, aveva partecipato ad un simposio sul riciclo) da una parte e del buddismo dall’altra. L’outsider parla di «evocazione interiore energetica verso l’esterno» e di «grande motivazione, gioia e possibilità». Non è casuale la citazione di Robert Rauschenberg che già dai primi anni Settanta si recava abitualmente alla discarica di Fort Myers, in Florida, raccogliendo e accumulando quantità immani di oggetti di scarto che portava nel suo studio, destinati ad essere trasformati negli assemblaggi poetici e ironici dei Gluts e successivamente nei Combines. Per Sampaolo l’urgenza è dettata dall’immediatezza del suo approccio emotivo. In opere come Cuore totalitario, Invisible Mask, In & Out, Black Mirror, Nine, Walk by Walk, Smile i colori acrilici (non solo i rigorosi colori primari) trovano spazio sulla superficie di un vecchio legno come di una lamiera, un metacrilato, un vetro e magari anche una vecchia stoffa, mescolandosi e rincorrendosi. Lo spray delle vernici e le sgocciolature sottolineano l’appartenenza ad scrittura visiva underground. Vivere per alcuni anni a Miami, nel quartiere di Wynwood tra murales e graffiti, con la sua quotidianità scandita dalle declinazioni di un’arte che non era assoggettata al mercato pur facendone parte, è stata per lui certamente un’esperienza significativa. Ma altrettanto importante è stata la frequentazione dell’atelier di sartoria di sua madre nella zona di Corso Trieste, officina di idee e di sperimentazioni creative. Da lì provengono i vecchi scampoli e rimasugli di tessuti, firmati da grandi stilisti come Mila Schön o Emanuel Ungaro, su cui Sampaolo ha dipinto, ispirandosi all’essenza delle stoffe stesse, in occasione della mostra Tessendo colore a Milano, Bologna e Ascoli Piceno (2008).

Lo stesso approccio visionario, come è lui stesso a definirlo, emerge anche nelle performance di live painting, realizzate insieme a vari musicisti tra cui Javier Girotto con cui collabora dal 2010. Un’«esperienza circense» per l’artista, che cerca sempre di «dare dinamicità al lavoro», lasciandosi guidare dalla pura istintività. La musica jazz, del resto, ha avuto fin dalla sua nascita un fortissimo legame con le arti visive, accelerando i suoi spostamenti di accenti in quella che è certamente una celebrazione gioiosa della vita.