Sono stridule. Non vibrano più come prima le corde di Bisignano. Il borgo che sorge sulle ultime propaggini collinose della Sila greca, a dominio della valle del Crati, non si adagia più sugli allori del tempo che fu. L’attualità di un dramma soppianta i fasti del passato, la cronaca prende il posto della poesia.

Questa è la terra dei maestri liutai di Bisignano, i virtuosi del suono e dell’artigianato che realizzarono, e realizzano tuttora, veri capolavori, preziosi strumenti musicali che meritano di esser conservati e poi tramandati nel tempo. Il liuto, più noto come chitarra, fece il suo ingresso in Italia grazie agli arabi. Lo introdussero proprio in questa valle intorno al decimo secolo. In primis presso la corte dei Sanseverino di Bisignano per essere poi diffuso e trasformato grazie alle abilità degli artigiani del luogo. Lo resero un manufatto di elevata qualità, musicale ed estetica, divenne una delle principali fonti dell’economia locale. Nel quartiere della Giudecca abitavano molti maestri la cui creatività e professionalità li portò a ideare nuovi strumenti di stampo popolare come la chitarra battente.

Tra le più rinomate e longeve famiglie, spiccavano i De Bonis il cui operato lasciò un segno indelebile nella storia della liuteria mondiale. Ma oggi l’armonia della musica stona con il presente, impastato di traffici e trafficanti, di manovratori e manovre oscure. Una parte del territorio di Bisignano, nel corso di questi anni di inizio secolo, si è trasformata in un ricettacolo di veleni, in un deposito illecito di rifiuti industriali, in un crocevia di arsenico e altre sostanze tossiche.

«Arsenico» è anche il nome che la procura ha dato all’inchiesta giudiziaria che ha catapultato i bisignanesi in un incubo. Secondo gli inquirenti che hanno ordinato il sequestro del deposito di rifiuti speciali e a vario titolo disposto alcune misure cautelari nei confronti di amministratori e tecnici dell’impresa Consuleco che gestisce l’impianto: «Nel fiume Mucone veniva sversato veleno allo stato puro». La struttura è «preposta al trattamento dei rifiuti liquidi speciali, prevalentemente di origine industriale». Nelle acque del fiume è stata rilevata la presenza di inquinanti con valori 40 mila volte superiori al consentito.

Annunciata da anni di proteste, manifestazioni e denunce cadute nel vuoto, era una notizia che molti temevano. Perché questo è un disastro ambientale che sottotraccia, come una talpa che scava inesorabile, va avanti da decenni. È un virus che si è espanso. Sotto gli occhi indifferenti, o comodamente distratti, di chi avrebbe dovuto tutelare e proteggere un territorio fertile e bellissimo come quello della valle del Crati. Tutti sapevano quanto accadeva in quel misero quadrato di terra a pochi metri dal Mucone, protetto da occhi indiscreti da una vegetazione fluviale volutamente incolta, costeggiato da strade appositamente dissestate e rese impraticabili. Ma le autorità preposte assistevano immobili.

Per Giorgio Berardi, portavoce del Comitato Bisignanesi in Lotta e coordinatore regionale della Lipu, «questa è una gravissima vicenda di inquinamento ambientale. La documentazione della prefettura parla di disastro gigantesco, perpetrato negli anni. Le azioni illecite devono cessare immediatamente, una volta per tutte, ed è arrivato anche il momento di sanzionare i responsabili. Gli scarichi illeciti – spiega Berardi – avvenivano nei fine settimana. Gli artefici di questa azione criminosa erano talmente tranquilli da usare un bypass che scaricava il rifiuto direttamente nel fiume. Chi doveva vigilare sul territorio, non lo ha fatto. Vogliamo che siano individuate anche le responsabilità istituzionali. Adesso la popolazione è stanca, il territorio è martoriato, elevato è l’incremento di tumori tra gli abitanti. Chiediamo – precisa – l’immediato stop dell’impianto e l’estinzione del contratto con l’azienda che lo gestisce. Stiamo preparando la documentazione per costituirci parte civile. C’è una forte mobilitazione. Pretendiamo inoltre una caratterizzazione per la zona di Bisignano come per tutti gli altri territori, finalizzata a una bonifica».

Agguerrita Daniela Serrago, agricoltrice, molto stimata all’interno del Gruppo d’Acquisto Solidale che si apre al pubblico ogni sabato a Cosenza. «Sono inquinate le acque – spiega – mentre sui terreni non abbiamo dati che attestino alcuna forma di contaminazione. La terra che lavoriamo offre prodotti di straordinaria qualità: le cime di rapa, i pomodori, il fico Dop. A noi adesso preme sottolineare che i nostri prodotti sono sanissimi, non intaccati da alcun veleno. La contaminazione è a valle, mentre l’acqua che noi impieghiamo per l’irrigazione proviene dal lago silano Cecita e la prendiamo a monte del depuratore, quindi per una questione logica non può essere inquinata. Abbiamo consultato degli avvocati e ci hanno spiegato che potranno costituirsi parte civile i comitati, perché formati da residenti nelle zone vicine al depuratore, ma noialtri, in quanto contadini, non potremo chiedere i danni, proprio perché in effetti le nostre produzioni non sono state danneggiate. È chiaro però che in quanto abitanti di Bisignano e zone limitrofe, siamo esasperati e infuriati. La nostra lotta è iniziata nel 2000. Nel 2008 chiedemmo la chiusura del depuratore, ma a causa di un’amministrazione comunale incosciente non ci siamo riusciti. Stavolta – conclude Serrago – cercheremo di raggiungere l’obiettivo: il depuratore non deve essere riaperto. La moria dei pesci del Mucone è un fenomeno vecchissimo. Quando lo denunciammo, l’Arpacal ci rispose che dipendeva dal clima troppo caldo».

Oggi a Bisignano, contadini e comitati presidieranno il consiglio comunale. Lo avrebbero voluto aperto alla popolazione ma è stato convocato in seduta ordinaria, dunque blindato. Ma loro non indietreggiano d’un passo. Per il primo fine settimana di marzo annunciano una grande manifestazione. E chiedono la partecipazione di tutti i comitati calabresi in lotta.