Tanto rumore per nulla. Nel Pd vanno via i due capigruppo ex renziani e arrivano al loro posto due donne, entrambe ex renziane. Al Senato ieri è stata eletta all’unanimità Simona Malpezzi, lombarda, designata dall’uscente Andrea Marcucci che non ne voleva sapere di passare la mano: anche Malpezzi (vicinissima a Lorenzo Guerini), che lascia il posto di sottosegretaria ai rapporti col parlamento, fa parte della corrente di base riformista ed è stata una delle più accese sostenitrici del rottamatore.

Subito dopo l’elezione è apparsa sui social una sua foto con il simbolo della corrente renziana, subito rimossa per evitare grane.

ALLA CAMERA LE SFUMATURE di renzismo sono appena più attenuate. Graziano Delrio (che ai tempi aveva pagato a caro prezzo qualche sprazzo di autonomia dal giglio magico) se ne va, martedì 30 marzo il gruppo sceglierà tra due ex renziane: Debora Serracchiani o Marianna Madia, entrambe autocandidate.

Letta, presente ieri alla riunione dei deputati, ha spiegato di non voler scegliere, ma di lasciare che sia il gruppo a votare. E così martedì ci sarà un ballottaggio, sempre che una delle due non decida di ritirarsi all’ultimo momento. «Non voglio decidere io: anche un confronto democratico tra più candidature sarà positivo», ha spiegato il segretario, dopo aver ribadito che «la questione di genere è la precondizione perché siamo davvero partito democratico» e che farà propria la battaglia sulla doppia preferenza di genere del Pd in Friuli.

IN REALTÀ, A MUOVERE questa partita è stata la legittima necessità di cambiare i capi dei gruppi parlamentari da parte del nuovo leader. Marcucci e Delrio erano stati indicati direttamente da Renzi nel 2018, un’altra era geologica, e un ricambio- che Zingaretti non era riuscito a fare- era più che mai necessario.

Madia parte in svantaggio nei numeri, ma gode di un antico rapporto con Letta: prima ancora di essere scelta come capolista alla Camera nel 2008 daVeltroni, aveva collaborato con Enrico all’Arel e anche a palazzo Chigi, quando lui era sottosegretario di Prodi. Poi la conversione al renzismo (dopo essere stata vicina a Bersani e D’Alema), durata ben oltre la disfatta referendaria del 2016.

Conversione che la accomuna del resto alla “rivale” Serracchiani. Che, a differenza di Malpezzi, non è entrata in base riformista, è rimasta vicina a Delrio e all’ultimo congresso ha votato Maurizio Martina. Alla fine, spiegano fonti dem, i deputati sceglieranno sulla base della maggiore o minore conoscenza e vicinanza personale a una delle due candidate, non su differenze politiche.

INSOMMA, SE LETTA È RIUSCITO nella difficile impresa di rimuovere il “colonnello Kurtz” Marcucci, che si era asserraggliato nella giungla di palazzo Madama alla guida dei senatori Pd (in larghissima parte ex renziani), e di promuovere un ricambio generazionale e di genere, politicamente non cambia praticamente nulla. «Dobbiamo essere un partito con anime e sensibilità diverse, ma non una federazione di partiti», il monito di Letta ai deputati. «Non saremo mai il partito del leader, cercherò di spingere sull’intelligenza collettiva».

MARCUCCI HA FATTO DI TUTTO per ribadire il suo potere nel gruppo: ha designato Malpezzi e non si è neppure dimesso. E ha messo a verbale: «La questione di genere non si risolve dando alle donne i gruppi parlamentari. Non è un modo corretto. Non ho subìto diktat da parte di nessuno, abbiamo lavorato su una candidatura che fosse espressione delle sensibilità più rappresentate tra i senatori e abbiamo scelto un nome autorevole, che non fosse dettato dall’esterno».

Malpezzi ha parlato del Pd come di una « casa comune, solida e destinata a durare al di là delle sorti personali». «A me piacerebbe saper tenere insieme questo gruppo, legarlo intorno a un obiettivo comune che è quello di sostenere il lavoro del governo Draghi che ha un’agenda che è quella del Pd, e il tentativo del nuovo segretario di restituire forza e progettualità al partito». Discorso che Letta ha apprezzato. Così come apprezza le due candidate per la Camera. «Nel Pd c’è una classe dirigente femminile che era sottoutilizzata», il suo ragionamento.