Non c’è Stato a queste latitudini. «Sarà la più grande operazione navale della storia della Repubblica» aveva annunciato in pompa magna l’ex titolare degli Esteri, Emma Bonino. Peccato che la ministra che ha preso il suo posto alla Farnesina con il governo Renzi, Federica Mogherini, non sarà a Gioia Tauro il 2 luglio per il trasbordo delle armi chimiche siriane. Lo stesso giorno sarà infatti a Strasburgo per presentare il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea. «Avevo assicurato che sarei stata presente sia per assistere alle operazioni di trasbordo sia per rassicurare sulla totale sicurezza dell’operazione, ma la coincidenza dei due eventi lo rende impossibile», ha precisato Mogherini.

L’operazione sta facendo acqua da tutte le parti. E rischia di essere un boomerang per tutto il governo. Piani di evacuazione ancora ignoti, specie ai lavoratori del porto, popolazione disinformata e impaurita, ospedali e strutture sanitarie inadeguate. Il trasbordo è l’operazione che più preoccupa. Le due navi, la statunitense Cape Ray e il cargo danese Ark Futura proveniente dalla Siria con il suo carico di 60 container carichi di 570 tonnellate di agenti chimici con “priorità 1” (iprite e precursori del sarin), verranno attraccate in un tratto di banchina a sud del porto. I container saranno spostati da una trentina di portuali dipendenti della Mct. Le due navi sono di tipo Ro/Ro, imbarcazioni che utilizzano la tecnica roll on – roll off di movimentazione orizzontale del carico, dotate cioè di un portellone davanti alla prua che consente l’accesso a mezzi gommati. Per ogni container trasbordato dovrà essere attuata la procedura di segnalazione alla sala operativa relativa alla tipologia di sostanze contenenti all’interno. I container verranno scaricati da gru per le quali è stata anche prevista l’istallazione di un generatore in caso di mancanza di energia elettrica. Lungo il tratto di banchina dove si svolgeranno le operazioni saranno istallate delle barriere e delle zone assorbenti in caso di incidente o perdite di sostanze chimiche sul terreno.

Ma, denunciano i lavoratori del Sul e dell’Usb, «manca un piano di evacuazione sanitaria, gli impianti di decontaminazione non sono stati testati e non abbiamo un kit di pronto intervento per ‘autosalvarci’ in caso di contaminazione. Ci stanno mandando al massacro per fare bella figura a livello internazionale».

Per fronteggiare un’emergenza iprite occorrerebbero dosi massicce di atropina. Ma gli ospedali ad oggi non hanno ancora ricevuto nulla da Roma. «Noi chiediamo di essere presenti nella cabina di regia per capire tutte le operazioni, ma non ne vogliono sapere», sbottano i portuali.

Anche la popolazione locale è in fermento. Il coordinamento Sos Mediterraneo ha promosso all’Arena dello Stretto di Reggio un flash mob contro il trasbordo. La manifestazione segue un’analoga iniziativa fatta a Creta, a largo delle cui acque verrà effettuata la distruzione delle bombe mediante idrolisi. «Lo scopo – spiegano – è quello di compattare un fronte di azioni comuni fra Grecia e Italia».

La rabbia della popolazione è dura a sbollire. Qui si sentono sopraffatti e cittadini di serie B. Abbandonati e in balia degli eventi. La piana di Gioia Tauro è, infatti, un coacervo di infrastrutture dannose, tutte riunite nel giro di pochi chilometri. Proprio qui è presente l’unico inceneritore della Calabria, in avanzata fase di raddoppio. C’è una centrale a turbo gas nei dintorni. C’è ancora un elettrodotto che collega Rizziconi fino a Laino Borgo. Un megadepuratore che riunisce 20-30 comuni della Piana. Si prospetta fra non molto il più grande rigassificatore d’Europa che verrà sistemato su quattro faglie sismogenetiche attive. E da una di queste è nato il terremoto del 1783 che ha distrutto mezza Calabria.

Se c’era un territorio inadatto per operazioni di tal genere era proprio questo.