Il convoglio umanitario organizzato dal governo russo, più di 250 autotreni carichi di aiuti, è in marcia verso l’Ucraina. Partito dalle porte di Mosca, dovrebbe arrivare nelle prossime ore al confine con l’ex repubblica sovietica.

L’intenzione di Mosca è rifornire le popolazioni civili di Donetsk e Lugansk, bisognose di tutto. Il confronto militare tra l’esercito di Kiev e le forze separatiste filorusse, con il primo che attacca e le seconde che resistono, le ha lasciate senza elettricità, servizi, cibo. Chi non è riuscito a fuggire – il governo ucraino ha aperto dei corridoi, ma percorrerli è comunque rischioso – sconta sulla propria pelle tutta la durezza di una guerra che, iniziata a metà aprile, è divenuta sempre più intensa. Dall’inizio degli scontri ci sono state più di millecinquecento vittime, tra civili e combattenti dell’una e dell’altra parte. Centomila gli sfollati sul territorio ucraino. Centosettantamila le persone riparate in Russia.

Le ultime dal fronte riferiscono che tra Donetsk e Lugansk, in pratica le ultime due sacche di resistenza dei ribelli, è la seconda a registrare una situazione più drammatica. Mancano acqua, elettricità e gas, scarseggia il cibo, piovono continuamente colpi d’artiglieria e lungo le strade ci sono cadaveri, riporta il Telegraph, appoggiandosi alle testimonianze di chi è riuscito a mettersi in salvo.

Ma in queste ore i fari della stampa, più che sul conflitto, sono puntati sul convoglio umanitario imbastito da Mosca. Sta diventando un vero e proprio caso. La Russia ha spiegato che gli aiuti sono stati concertati con la Croce rossa internazionale. Che tuttavia ha fatto capire che l’iniziativa è stata unilaterale, precisando in un comunicato che, benché reputi indispensabile un’operazione umanitaria nell’est ucraino, intende venire a conoscenza della quantità e della tipologia degli aiuti, avere garanzie sulla sicurezza del proprio personale e muoversi solo in virtù di un accordo condiviso da Ucraina a Russia.

Il governo di Kiev ha minacciato di bloccare il convoglio, dal momento che lo percepisce come una sorta di cavallo di Troia, che cela l’intento di sbarcare oltre confine rifornimenti destinati alle truppe separatiste, se non quello di intervenire direttamente. Timore condiviso da Stati Uniti, Europa e Nato, che tra l’altro denuncia l’ammassamento di migliaia di truppe russe alla frontiera. Washington e Bruxelles, da parte loro, ammoniscono che ogni mossa russa non concordata con la Croce rossa e il governo ucraino è potenzialmente destinata a squadernare nuove, ulteriori sanzioni.

La domanda che tutti si pongono, in questi frangenti, riguarda il tratto di confine dove il convoglio eventualmente transiterà e il modo in cui gli aiuti verranno portati ai civili di Donetsk e Lugansk. Kiev ha posto tre condizioni, riferisce il sito della Bbc: la prima è che gli autotreni passino da una dogana gestita dal governo (i separatisti controllano cento chilometri di frontiera); la seconda è che il convoglio venga accompagnato da personale della Croce rossa; la terza è che sia la quantità dei beni forniti che il tragitto effettuato dal convoglio vengano negoziati a priori.

Una nota diffusa ieri dal ministero degli esteri russo ha comunicato che si sarebbe trovato un accordo, fondato proprio sulle richieste ucraine. Mosca ha fatto sapere che gli autotreni transiteranno dalla regione di Kharkhiv e gli aiuti, nella nota dettagliatamente elencati, verranno indirizzati nelle aree di crisi secondo tragitti stabiliti da Kiev. Il convoglio, una volta superato il varco doganale, procederà sotto l’egida della Croce rossa.
La notizia deve ancora trovare un chiaro riscontro, ma se le cose andassero così la Russia potrebbe riscuotere punti mediatici e politici importanti. Il messaggio che potrebbe passare è che Mosca si è dovuta gioco forza sostituire a Kiev, incapace di assicurare ai civili dell’est la dovuta assistenza. Putin potrebbe sfruttare la cosa ribadendo la tesi che brandisce non senza cinismo da mesi: l’Ucraina è uno stato fallito.