Partire parte, ma che arrivi a destinazione lo credono in pochi. Non molta fiducia accompagna quello che martedì prossimo diventerà il quarto testo base (in quattro mesi) di riforma delle leggi elettorali, stavolta con l’appoggio sulla carta di Pd, Forza Italia, Ap e Lega. Sulla carta, perché il regolamento della camera consente in aula i voti segreti che già hanno fermato il precedente tentativo sul sistema simil tedesco. E allora c’era tra i favorevoli anche il Movimento 5 Stelle, che adesso invece potrà scatenarsi nell’ostruzionismo. Favorito dal fatto che la legge non riuscirà ad arrivare in aula a settembre – dunque niente tempi contingentati a ottobre.
Tra gli emendamenti più a rischio quello per introdurre le preferenze: le liste bloccate sono in cima alle critiche dei contrari, anche di chi – come Articolo 1-Mdp – ha nostalgia del Mattarellum che prevedeva gli stessi listini. Così come consentiva alle coalizioni costruite nelle urne di spaccarsi in parlamento (ci sono passati sia il centrosinistra che il centrodestra), quelle che adesso i bersaniani chiamano «coalizioni farlocche».
Sono proprio le alleanze elettorali il cuore di questo «Rosatellum-bis» depositato ieri pomeriggio dal renziano Fiano. Tornano in grande stile, a dispetto di anni di «vocazione maggioritaria», con una mossa del Pd spiegabile solo con la tattica. La legge, infatti, se certamente penalizza i grillini, appare favorevole soprattutto per Berlusconi e al limite per un’aggregazione centrista. Per esempio prevedendo una soglia di sbarramento per le coalizioni (il 10%) più alta di quella per le liste solitarie (3%) che è un modo per far partecipare al computo dei voti anche i piccoli partiti coalizzati. Con Forza Italia (animalisti, o ultradestra) o con Alfano, nel caso dovesse mettere insieme un «polo» autonomo dal Pd.
LA COALIZIONE, ed è questa una forma di pressione del Pd su Pisapia (Orlando, soddisfatto, incontra oggi Speranza), sarà la stessa su tutto il territorio nazionale. Non è previsto però un «capo» unico della coalizione e neppure un simbolo: si lascia così spazio ai leader di partito nelle trattative per la guida del governo. E si favorisce la trasmissione del voto nei 231 collegi uninominali ai 386 proporzionali.
Resta il divieto di voto disgiunto, la novità è che i voti espressi solo barrando la casella con il nome del candidato uninominale, nel caso di coalizione, si ripartiranno tra le liste alleate proporzionalmente alla percentuale di ognuna. Un po’ come l’otto per mille nella dichiarazione dei redditi: chi non sceglie la destinazione favorisce la chiesa più grande. È un altro aiuto ai partiti più grandi, purché coalizzati (non M5S dunque). Il rischio è che a Pd e Forza Italia arriveranno tanti consensi extra da rendere insufficienti i candidati nel proporzionale (i listini sono di quattro nomi al massimo) un po’ come accadde nel 2001 a causa delle liste civetta. Solo che adesso la legge prevede un complicato sistema per coprire comunque i posti, anche assegnandoli in un’altra circoscrizione a un’altra lista. Persino lo scrutinio di queste nuove schede si annuncia complicato, lo provano le nuove disposizioni che allentano un po’ le maglie delle schede valide.
COMPLICATA sarà anche la definizione dei nuovi collegi: con l’eccezione dei 231 uninominali della camera (quelli del Mattarellum senato, vecchi di 25 anni) sono tutti da rifare. E chi vota la legge approva anche una delega al governo (Minniti) per disegnarli, ma in soli 30 giorni (altre volte erano 120) e accettando collegi molto grandi o molto piccoli, cioè che scartano dalla media nazionale della popolazione fino al 20%. Il precedente limite era il 10% e questa novità si spiega con il fatto che i pochi collegi uninominali del senato – 102 – dovranno essere disegnati senza varcare i confini regionali.
Nelle leggi elettorali sono sempre i dettagli a essere interessanti, e il Rosatellum bis ne nasconde altri due. Il primo è un evidente dispetto ai bersaniani, in base al quale saranno obbligate a raccogliere le firme per presentare le liste – non poche, circa 600mila – solo i partiti non rappresentati come gruppo in parlamento a gennaio 2017: Mdp si è costituito in febbraio. Il secondo è l’ennesimo gancio a Berlusconi. Il ritorno ai collegi uninominali dove chi vince vince sul serio (non era così nel «Tedeschellum») consente di recuperare l’istituto delle elezioni suppletive. Il cavaliere, si sa, molto difficilmente sarà candidabile nella primavera 2018. Ma se un deputato o un senatore di Forza Italia eletto nell’uninominale si dimettesse dopo la riabilitazione, ecco la strada spalancata per il ritorno in parlamento del leader di Arcore.
Sicuramente c’è anche questo dietro il primo via libera di Forza Italia, oltre alla dichiarata volontà di far scrivere la legge elettorale alle camere e non alla Consulta. E non (almeno in parte) al governo, con un decreto che nel caso di fallimento anche di questo tentativo riprenderebbe quota.
Se tutto crollasse, magari a causa dei franchi tiratori di Pd e Fi (come il «Tedeschellum») che hanno fatto i calcoli sulle loro convenienze personali, di certo non sarebbe un gran problema per Renzi. Che ha fatto confezionare una legge più favorevole a Berlusconi che a lui. Utile solo a trasferire un po’ di pressione alla sua sinistra (coalizzarsi oppure no?) e a dare l’impressione che il segretario Pd ci ha almeno provato.