La bozza è pronta: 6 capitoli, 32 pagine. Sarà presentata stamattina al Comitato interministeriale per gli affari europei e di lì inoltrata al parlamento, che toccherà così palla per la prima volta in materia di Recovery Plan. Poi, il 15 ottobre, raggiungerà Bruxelles per l’avvio delle «consultazioni informali». «Non ci sono ritardi né divisioni. Come da cronoprogramma il Recovery Plan italiano sarà presentato tra gennaio e aprile», assicura il ministro per gli affari europei Enzo Amendola.

Dovrebbe significare, implicitamente, che non ci saranno anticipi di sorta. Sino alla seconda metà dell’anno prossimo l’Italia dovrà farcela con le proprie forze, con il Sure di certo e con il Mes se il governo per nulla diviso, come da autorevole garanzia del ministro Amendola, riuscirà a mettersi d’accordo.

Quello che verrà varato oggi non vuole e non potrebbe essere il Piano di rilancio italiano. Sono «Linee guida» con tanto di illustrazione degli ambiziosi obiettivi: raddoppio del tasso di crescita, da portarsi all’1,6%, e aumento di 10 punti secchi del tasso d’occupazione per raggiungere, con il 73,2%, la media Ue. Ma quello è il traguardo, questa bozza si propone solo come primo passo. Il problema è che non è neppure quello. I sei capitoli sono scritti sotto dettatura. Sono i fondamentali stabiliti da Bruxelles ma sarebbe bastata una classe di liceo per stilare il medesimo elenco: Digitalizzazione, Rivoluzione verde, Infrastrutture, Istruzione formazione e ricerca, Equità e inclusione sociale, Salute. Per ciascuno di questi punti il governo ha stilato un elenco di provvedimenti ritenuti necessari, riversando però un po’ tutte le esigenze note e conclamate del Paese, riprendendo progetti e dossier depositati nei cassetti di ciascun ministero.

Come digitalizzare? Informatizzando la Pa, completando la rete in fibra ottica e senza dimenticare il 5G, ovvio. Come combattere la rivoluzione verde? Decarbonizzando i trasporti e migliorando l’efficienza energetica degli edifici pubblici va da sé. La vaghezza del capitolo in questione è particolarmente inquietante perché, senza aspettare il Covid, la riconversione energetica era già al centro del programma della maggioranza concordato nell’agosto 2019. Sarebbe stato lecito attendersi, almeno su questo fronte, qualcosa di meno vago e qualche indicazione cronologica già nelle linee guida.

La musica non cambia nei punti successivi. Il capitolo Infrastrutture indica con precisione solo il completamento della Tav. Per il resto vengono sciorinati auspici sull’alta velocità diffusa, sulla rete autostradale da sviluppare e ammodernare, sulla mobilità sostenibile, anche questo un cavallo di battaglia dell’agosto 2019 che dovrebbe essere stato, nel tempo trascorso da allora, almeno sellato e invece è rimasto nella stalla, anzi nel limbo delle ottime intenzioni. Per l’istruzione la parola chiave è «digitalizzazione», con tanto di cablaggio in fibra ottica. Per l’Equità, un punto chiave, parlare di vaghezza è poco: riqualificazione urbana, politiche per il lavoro, per l’occupazione giovanile, per le famiglie. In compenso si promette la «revisione degli ammortizzatori sociali in chiave perequativa», sibillina formula che suona un po’ inquietante.

Nel capitolo Sanità, pur senza azzardare troppo, si cita almeno la necessità di incentivare assistenza e cure a domicilio. Non è un pronunciamento esplicito a favore di una sanità territoriale, quella di cui il Covid ha messo impietosamente a nudo l’urgenza ineludibile. Ma con un po’ di buona volontà ci si può augurare che sia un passetto da formica nella giusta direzione. La nota dolente, qui, è che in assenza di anticipi per intervenire tempestivamente sulla Sanità, sarebbe necessario accedere al prestito del Mes. Qui però la maggioranza è su sponde opposte. Il Pd e Italia viva insistono e martellano. Luigi Di Maio fa il finto tonto: «Noi puntiamo invece sul Recovery Fund». Il reggente pentastellato Vito Crimi è più secco: «Per noi il Mes così com’è non va bene. Punto».

Un passaggio meno aleatorio nelle Linee guida c’è. Riguarda la riforma fiscale e parla di una «riduzione strutturale del cuneo fiscale» da realizzarsi con una legge delega già quest’anno e decreti attuativi l’anno prossimo. Convincere la Ue ad adoperare il Recovery per una riforma fiscale, però, non sarà facilissimo.