Il grande effetto liberatorio che produce il film No sugli schermi internazionali, per il Cile è stato una festa. Ha rinnovato parecchi anni dopo la vittoria del No a Pinochet, la fine della dittatura. Deve scontare una particolare elaborazione del lutto il cinema cileno, così come quello argentino scontò l’afasia durata almeno dieci anni. Si deve a Pablo Larraín, nome di punta della nuova generazione di cinema, l’aver spalancato nuovamente quel periodo oscuro con la sua trilogia che si conclude con questo film (da domani nelle sale). In modo impressionante aveva rievocato il clima plumbeo e senza speranza in Tony Manero, quindi partendo dalla recente pubblicazione dell’autopsia di Allende mai pubblicata prima se non per alcune righe generiche, in Post Mortem dava conto della normale attitudine all’omicidio politico, della cecità di una società civile sotto dittatura.

Ora Larraín guarda a un altro momento ormai lontano, il 1988. Ma l’evidenza del momento storico, una svolta della storia ha colpito anche i cileni meno coinvolti politicamente, i fautori della riconciliazione, quelli che sostenevano di dover chiudere per sempre con quel periodo.
Così come il regista sintetizzava in un unico personaggio, Tony Manero, il simbolo dell’insostenibile malessere del paese, il resoconto di assassini feroci che comparivano nella cronaca nera dei giornali come a fare da specchio ai desaparecidos, o il voler essere e non poter essere: grande potenza economica, ad esempio, a livello dei nordamericani e non solo esportatori di frutta, così come il losco ballerino non avrebbe mai potuto avere il glamour di John Travolta.

Anche in questo film – ispirato a un lavoro teatrale di Antonio Skarmeta, l’autore del Postino – Pablo Larraín sintetizza in un unico personaggio, il pubblicitario Saavedra (Gael Garcia Bernal) tutto un movimento assai complesso. E Alfredo Castro, inimitabile protagonista di Tony Manero e Post Mortem, maestro della nuova generazione degli attori cileni, è ancora una volta il perfetto «cattivo», incarna anche qui il male, il pubblicitario che collabora con la dittatura nella campagna per il «Sì» e cerca di usare le stesse armi dell’opposizione. Ma in più, elemento chiave della convivenza delle posizioni diverse che si trovavano fianco a fianco, è anche il datore di lavoro di Saavedra e dopo la fine della dittatura continueranno a collaborare. La nuova strategia pubblicitaria era legato alla vendita di un prodotto anomalo, il futuro. Da vivere con allegria e speranza, senza più menzogne né povertà. Con tutto il clima di tensione e di violenza che in ogni caso accompagnava la confezione di quei filmati perché si temeva che tutto sarebbe stato inutile, era chiaro che il plebiscito sarebbe stato falsato dai militari.[do action=”citazione”]Nel volto dell’attore carismatico sia in latinoamerica che nel mondo per essere stato il Che Guevara giovane dei Diari della motocicletta, si concretizza tutta la giovane generazione vissuta per lo più in esilio, il profondo desiderio di cambiamento del paese.[/do]

La legge imponeva che in caso di elezioni o di plebiscito fossero concessi 15 minuti in televisione all’opposizione. In quei quindici minuti concessi ogni giorno a notte fonda, tutto quello che non si poteva dire in tv a causa della censura doveva essere espresso e lo si fece con una esplosione di ironia. Non dell’idea di un pubblicitario isolato si trattava, ma di tutto un diverso approccio di cui avevamo notizia seguendo le vicende dei cineasti cileni rimasti nel paese che accanto alla loro produzione cinematografica si dedicavano inaspettatamente a una pubblicità di tipo creativo e divertente, di tutta la sapienza dei documentaristi alternativi che sapevano come sfuggire alle imboscate, come girare scene di massa e far disperdere gli attori prima che la polizia si accorgesse di cosa si trattava, come far seguire ai militari false piste uscendo dallo studio con cassette Vhs da buttare.

Abbiamo appena pubblicato nel numero di Alias di sabato l’intervista ad Augusto Gongora, autore del documentario di Teleanalisis Immagini da un paese invisibile: lì è contenuto tutto il lavoro fatto da Teleanalisis (di cui Gongora è stato il direttore) con i suoi filmati ripresi ancora prima che la dittatura imponesse la censura e poi distribuiti clandestinamente in cassette Vhs perché in televisione non potevano comparire servizi sulle mobilitazioni, le proteste, le situazioni reali del paese. Un elenco di più di duecento servizi legati in programmi di circa cinquanta minuti realizzati nel corso di cinque anni. E El derecho a la sonrisa (il diritto a sorridere) fu uno dei primissimi documentari, nel novembre dell’84. Seguito dai sequestri, le opposizioni, le storie di sopravvivenza, la strategia della paura, la torura. E perfino Neruda fu cancellato dal paese e rinasceva nel documentario «Neruda: Confeso que no he muerto», confesso che non sono morto.

Il film di Larraín segue necessariamente l’andamento di Immagini di un paese invisibile, rivediamo le scene di quei filmati, uno stile che resta impresso anche nelle sequenze girate ex novo, con le solarizzazioni improvvise tipiche delle prime telecamere. Visioni collettive non solo per il lavoro compiuto dai cineasti negli anni ottanta, ma anche per la collaborazione di tutti i volti famosi che aderirono alla campagna per il «No» come il celebre presentatore Patricio Bañados, l’Enzo Biagi della televisione cilena che torna dopo anni di censura a fare da testimonial, le nipoti di Violeta Parra che cantano il jingle («no me gusta no»), l’intera comunità degli attori di cinema, teatro e televisione a fare il coro.