Contro il governo di cui fa parte, la ministra Teresa Bellanova, Iv, usa la mazza ferrata direttamente su Facebook: «La bozza sulla governance del Recovery appare opaca e presenta profili di incostituzionalità». Con sullo sfondo l’intervista al tritolo con la quale Matteo Renzi era appena andato un passo dal dare il benservito al governo, la soffusa critica dice tutto sullo stato reale delle cose. La cabina di regia ipotizzata da Conte dovrebbe passare comunque oggi, con il voto contrario dei ministri renziani. Il premier preferirebbe rinviare a mercoledì sera, dopo il passaggio parlamentare sul Mes. Italia viva insiste perché si faccia prima. Ma che il decreto ad hoc sia varato oggi o domani cambia molto poco. L’approvazione è solo un trucco che serve al Pd per non ammettere di essere, nella sostanza se non negli obiettivi, d’accordo con Renzi. La governance non sarà infatti inserita, come da progetto del premier, nella legge di bilancio. Ci sarà dunque tutto il tempo di rivederla in gennaio, perché la realtà è che quella tolda di comando affidata a Conte piace al Pd tanto poco quanto a Italia viva e scontenta anche mezzo Movimento 5 Stelle.

IL CONSIGLIO DEI MINISTRI avrebbe dovuto varare il pacchetto Recovery ieri mattina alle 9. La riunione slitta di ben quattro ore dopo che nella notte i capigruppo di Iv avevano piantato in asso i colleghi abbandonando il vertice per protesta. Poi si interrompe di nuovo, perché la ministra Luciana Lamorgese risulta positiva e scatta l’isolamento anche per Di Maio e Bonafede. Quando riprende Conte mette sul tavolo l’ipotesi della governance come emendamento alla legge di bilancio. Bellanova lo gela: «In questo caso noi voteremo contro. Questa formula per noi è inaccettabile: esautora non solo i ministri ma anche le Regioni e la Pubblica amministrazione». Il Pd media. Cabina di regia sì ma non nella legge di bilancio. È un rinvio mascherato della decisione reale. Quando si discuterà sul serio, in gennaio, le posizioni del segretario dem Nicola Zingaretti non saranno troppo distanti da quelle di Renzi.

MA IL PROBLEMA ORMAI non è più questo o quel singolo nodo, per quanto importante. È la natura stessa del governo, il suo equilibrio complessivo, forse anche la sua guida. Fino a gennaio non succederà niente. Domani il voto sul Mes non dovrebbe presentare problemi. Se la risoluzione di maggioranza dovesse essere battuta, la china verso la crisi di governo e le elezioni anticipate sarebbe irrefrenabile. Non succederà e senza l’emendamento sulla cabina di regia non ci saranno grossi problemi neppure sulla legge di bilancio. I guai arriveranno in gennaio, quando Iv, ma anche il Pd e probabilmente lo stesso Luigi Di Maio, inizieranno a martellare per ottenere quel «cambio di passo» che non è neppure immaginabile, checché ne dicano pubblicamente i leader, senza un intervento drastico sulla squadra di governo e senza una revisione del modello di governance del Recovery disegnato da Giuseppe Conte.

RENZI, A QUEL PUNTO, premerà per la crisi. Nel Pd invece sperano, o fingono di sperare, in una provvidenziale sterzata del premier. Lo stesso Colle, che pure ha garantito e garantisce un appoggio per Conte indispensabile, considera ormai inevitabile un chiarimento tra lui e la sua maggioranza. Significa, in concreto, la rinuncia di palazzo Chigi alla leadership assoluta, con poteri quali nessun presidente del consiglio, prima di quello attuale, aveva avuto. Difficile immaginare che un simile cambio di approccio complessivo possa realizzarsi senza quella ridefinizione della squadra che il premier teme più di ogni altra cosa proprio perché ne limiterebbe i poteri e l’autonomia.

SARÀ QUELLO IL PASSAGGIO cruciale della legislatura. Di fronte a una crisi al buio il Quirinale continua a ripetere che lo scioglimento delle camere in tempi brevissimi sarebbe inevitabile. Le cose cambierebbero però radicalmente a fronte di un’intesa tra Di Maio, Renzi e Zingaretti. Se i tre si mettessero d’accordo su un nuovo equilibrio di governo o anche, senza il «ravvedimento» di Conte, su un altro premier, il presidente Mattarella non porrebbe ostacoli. Sarà una partita difficile e pericolosa, sulla quale incideranno gli esiti del Consiglio europeo dei prossimi giorni. Perché se al Next generation Eu sin qui ipotizzato si dovesse sostituire quello, strutturalmente molto diverso, a 25 invece che a 27 Paesi, senza Ungheria e Polonia, la ricaduta anche sugli equilibri italiani sarebbe inevitabile.