Non è un piano dettagliato. In buona parte le 121 slide partorite dalla task force di Vittorio Colao sono inviti al governo perché vari piani specifici: sulla green economy, sulla parità di genere, sul rilancio del turismo, sullo smart working da disciplinare», sulle infrastrutture sulle quali puntare. Una specie di produzione di Piani a mezzo di Piano. La task force di Colao, del resto, non è mai decollata davvero, in parte anche per la diffidenza del premier nei confronti del manager. Il risultato comunque è ora a disposizione del governo ma non ancora, almeno ufficialmente, di un pubblico più vasto. Verrà notificato nei prossimi due giorni e chissà che in queste 48 ore Conte e Colao non riescano a incontrarsi, come non è successo dall’insediamento del comitatone in poi.

SEI «AMBITI» fondamentali: più o meno quelli che avrebbe indicato chiunque, fatta salva la decisione assurda di non considerare l’Ambiente un ambito a sé ma di accorparlo alle Infrastrutture (come Imprese e Lavoro, Arte e Cultura, Individui e Famiglie, Ricerca e Competenze mentre fanno ambito a sé il Turismo e la Pubblica amministrazione). Poche proposte precise: rinnovo dei contratti a tempo determinato per tutto il 2020, rinvio dei pagamenti delle imposte di giugno-luglio, proroga delle concessioni autostradali, sanatorie, sotto forma di volontary disclosure, a man bassa Per far emergere il lavoro nero, per incentivare l’abbandono del contante, per facilitare il rientro dei capitali all’estero. Poi incentivi di vario tipo: per richiamare in patria le industrie che hanno delocalizzato ma anche per le aziende che si impegnano nella riqualificazione dei disoccupati. Infine scudo penale per i datori di lavoro in caso di contagio da Covid-19 dei dipendenti.

IL PIANO SARÀ uno dei contributi presentati agli Stati generali dell’economia, forse anche uno dei principali dal momento che il governo altri progetti precisi da mettere in campo non ne ha. Ma il premier non intende farne il perno della discussione, la proposta ufficiale del governo. Data la vaghezza complessiva del documento è difficile dargli torto. Non si può dire comunque che questi Stati generali decisi in dorato isolamento da Giuseppe Conte siano partiti con il vento in poppa. Tutti li accettano, nessuno ci crede. Lo scetticismo è trasversale, dalle forze politiche di maggioranza, con la parziale eccezione dei renziani in questo momento fidanzatissimi col premier, a quelle d’opposizione, da Confindustria ai sindacati, passando per le associazioni di categoria.

CONTE NON SI PERDE d’animo. È furibondo con il Pd, non solo per gli attacchi della settimana scorsa ma anche per la diffidenza e la scarsa convinzione che trasudavano dalla direzione di ieri. Non ha gradito lo scherzetto di Luigi Di Maio, che lo ha anticipato convocando ieri una specie di «Stati generali dell’export». Però intende procedere: gli basta sapere che, mugugni a parte, nessuno può dire di no. Ieri sera ha convocato i capodelegazione, con i ministri direttamente interessati come Roberto Gualtieri per l’Economia e Stefano Patuanelli per lo Sviluppo. A riunione già convocata, da palazzo Chigi non era ancora partito un solo invito, in compenso circolavano già ipotesi sulla data: forse già domani, più probabilmente giovedì, ma non si esclude venerdì. Con tempi del genere, ma le cose cambierebbero poco con un paio di giorni in più, non è facile neppure organizzare un convegno degno del nome, figurarsi degli «Stati generali». I timori che avevano ispirato la reazione stizzita del Pd a botta calda, più che un rischio sembrano dunque quasi una certezza: quella che Conte ha in mente sembra essere una passerella sulla quale sfileranno uno dopo l’altro i rappresentanti delle associazioni e delle forze sociali per ripetere ancora una volta le loro istanze e avanzare richieste già note. Sul piano della spettacolarità può funzionare, su quello dell’operatività decisamente no.

IL DUBBIO CHE RIMBALZA dalle sedi dei partiti tutti a quelle delle forze sociali, però, è che questa organizzazione abborracciata e superficiale non risponda solo a mere esigenze di visibilità e propaganda ma nasconda, per il premier, un obiettivo ben più lucido. Far parlare tutti ma decidere poi, come sempre negli ultimi mesi, da solo.