La corsa del Def è a pieno ritmo e dovrebbe arrestarsi – per mettere un primo punto fermo – questa sera alle 18: il consiglio dei ministri varerà il documento di economia e finanza per il 2014, insieme al Pnr (programma nazionale di riforme), la misura che dispone lo stanziamento per gli ormai famosi 80 euro in busta paga. L’esecutivo in serata ha fatto sapere che si deve «diffidare» delle anticipazioni, e che si dovrà aspettare, per conoscere con certezza il piano, la conferenza stampa di Renzi, prevista alle 19,30.

In ogni caso, ieri le agenzie diffondevano il testo della bozza: anche se c’è ovviamente tempo per cambiarlo fino a questa sera. I soldi per gli 80 euro dovrebbero venire dalla spending review. Il taglio Irpef, dice il Pnr, sarà di «10 miliardi a regime». «I lavoratori dipendenti sotto i 25 mila euro di reddito lordi, circa 10 milioni di persone – continua il testo – avranno un ammontare di circa 1.000 euro netti annui a persona, attraverso coperture con la revisione della spesa».

«Circa 10 miliardi – si legge ancora nel testo filtrato ieri – saranno destinati a incrementare a partire dal 2015 l’aumento del reddito disponibile di lavoratori dipendenti e assimilati (co.co.co.) in modo da beneficiare, in particolare, i percettori di redditi medio-bassi. Già a partire da maggio 2014, in via transitoria i dipendenti che percepiscono oggi 1500 euro mensili netti da Irpef conseguiranno un guadagno in busta paga di 80 euro mensili».

Ancora, nel documento di riforme si annuncia «un taglio Irap per le aziende di almeno il 10% attraverso il contemporaneo aumento della tassazione sulle attività finanziarie». Ma su questo fronte saremmo solo agli inizi, visto che «è intenzione del governo ridurre in maniera sostanziale la tassazione sul lavoro dal lato delle imprese non appena vi saranno le risorse necessarie».

Segue la spiegazione del provvedimento: «È necessario – scrive il governo – dare ossigeno alle imprese e alle famiglie riducendo il cuneo fiscale e aumentando il reddito disponibile soprattutto per le famiglie maggiormente segnate dalla crisi, con effetti positivi sui consumi e sulla crescita». «La riduzione dell’Irpef si giustifica quindi – spiega il Pnr – non solo per la valutazione economica e la sostenibilità sociale del processo di risanamento, ma anche per la riduzione delle ineguaglianze e della povertà della popolazione lavorativa».

Il doppio fine che si dà l’esecutivo è quindi quello non solo di rilanciare l’economia e sostenere i consumi in quello che si annuncia comunque come un anno ancora difficile per la ripresa e l’occupazione, ma anche di dare un segnale sul fronte delle disuguaglianze.

Sul fronte del rapporto con l’Europa, il governo conferma l’impegno di tenere il deficit sotto il 3%, pur chiedendo maggiore flessibilità per muoversi dentro quel range: L’Italia – si legge nel Pnr – intende perseguire le riforme strutturali, che tengano anche conto «delle raccomandazioni della Commissione europea» e che siano legate «a misure di tipo immediato necessarie per ridare fiducia al Paese, consolidarne la credibilità e guadagnare più spazio e flessibilità sui conti pubblici, pur all’interno del limite del 3% e mantenendo saldo l’impegno al pareggio di bilancio nel medio termine».

Una maggiore flessibilità pare di poter capire che si chiederà anche sul fronte del debito e del fiscal compact, come si sa tema caldissimo per la campagna elettorale europea: «Sarà mantenuto il disavanzo sotto il 3%. Si valuterà con la Commissione Ue la migliore strategia compatibile con le riforme per garantire la regola del debito e del pareggio strutturale di bilancio». E, su questo fronte, la faranno da padrona le privatizzazioni.

Si annuncia un piano di dismissioni di beni e azioni pubbliche di «12 miliardi per il 2014 e di 10-12 miliardi per ciascuno degli anni 2015-2016-2017, pari a circa lo 0,7% del Pil». Si confermano i nomi del piano che già fu di Letta: verranno vendute partecipazioni di «Eni, STMicroelectonics, Enav, Sace, Fincantieri, CDP Reti, Tag (Trans Austria Gastleitung GmbH), Grandi Stazioni – Cento Stazioni».

Sugli stipendi di manager e dipendenti pubblici lo stesso premier Renzi ieri ha detto ai giornalisti: «Aspettate di sapere e sarete contenti». L’idea sarebbe quella di limare ulteriormente la soglia massima annuale, abbassandola dagli oltre 300 mila euro del presidente della Corte di Cassazione ai 270 mila euro del presidente della Repubblica.