Era evidente già da settimane ma ora un imminente nuovo scostamento di bilancio è ufficiale. Parola del ministro dell’Economia Gualtieri, che però non quantifica: «Il governo è al lavoro nella definizione del perimetro e dell’entità complessiva». Nei progetti, il dl dovrebbe arrivare a metà luglio, per una cifra tra i 15 e i 20 miliardi. Non basteranno. Il resto arriverà con la manovra, che dovrebbe, secondo calcoli all’ingrosso, aggirarsi sui 40 miliardi.

GUALTIERI INDICA la destinazione principale dei fondi: sostegno agli enti locali e «potenziamento e prolungamento del sostegno al lavoro», cioè delle casse integrazione e del blocco dei licenziamenti. In più sarà ulteriormente diluito il versamento delle imposte per le imprese penalizzate dalla crisi. L’abbassamento dell’Iva è il punto interrogativo. Per ora non è previsto. Conte però insiste nonostante i dubbi del ministro dell’Economia e la palese contrarietà del Pd. Sostiene che il messaggio arrivato dagli Stati generali sia chiaro, è preoccupatissimo per la mancata ripresa dei consumi e mira all’abbassamento, non si sa ancora di quanti punti, sui pagamenti cashless, anche per dare una spinta all’abbandono del contante.

Certo, ieri la Corte dei Conti nel giudizio sul rendiconto generale dello Stato è stata tassativa sull’urgenza di una riforma fiscale nella quale l’Iva sarebbe capitolo secondario. «Appare non più rinviabile un intervento che riduca le aliquote sui redditi dei dipendenti e dei pensionati», ha detto senza perifrasi il Procuratore generale Fausta Di Grazia. A palazzo Chigi non se ne preoccupano più che tanto. La riforma fiscale complessiva? Già si sapeva che deve essere fatta. L’intervento momentaneo sull’Iva però è un’altra cosa. È un intervento emergenziale e va fatto subito.

STESSO PENSIERO POSITIVO sugli altri nodi che stringono da presso il premier. Zingaretti chiede di «chiudere i dossier aperti»? E che problema c’è? Conte la pensa allo stesso modo e anzi si appresta a farlo. Tanto che ha convocato proprio per oggi un vertice di maggioranza, probabilmente circoscritto come al solito ai capidelegazione al governo. Questo in sintesi il messaggio trasudante energico ottimismo che parte da palazzo Chigi. Dovrebbe significare che almeno uno di quei dossier, quello sulle Autostrade, è vicino a chiudersi. La disponibilità c’è da entrambe le parti. Il punto di caduta ancora no. La formula che il governo ha in mente è nota e accettata da Aspi: dimagrimento della quota Benetton e ingresso dello Stato con la Cassa depositi e prestiti e con la holding F21.

Le posizioni nello specifico sono meno vicine. Per il governo Atlantia dovrebbe passare dall’attuale 88,06% a meno del 50%. Per Aspi si può fare ma solo a patto che la quota Atlantia non sia di minoranza e con una modifica dell’art. 35 del Milleproroghe, che tra l’altro abbassa sensibilmente le penali a carico dello Stato in caso di revoca della concessione. La soluzione è più vicina ma non ancora raggiunta. Anche perché la disponibilità dei 5S è molto incerta. Toninelli sosteneva ieri che «se ci fosse una controproposta di Aspi la ascolteremmo, ma non mi pare di averla vista». Ancor più tassativo il blog delle Stelle: «Questo sistema deve essere smantellato. Non ci interessano gli utili di Benetton ma l’interesse pubblico».

IL DECRETO LUGLIO, che a differenza dei due dl in deficit precedenti non potrà essere a pioggia e dunque comporterà scelte con annesse critiche, e la vicenda Aspi sono solo due dei temi incandescenti che dovranno essere affrontati di qui a metà di luglio. C’è il dl Semplificazioni, faccenda tra le più spinose perché esposta alle critiche incrociate di chi troverà comunque il rimaneggiamento dei controlli troppo poco incisivo e di chi invece è già pronto a denunciare il favore fatto alla mafia. C’è il Mes, scelta che Conte spera di rinviare a settembre, pur sapendo che alternative alla richiesta di prestito non ce ne sono. Difficile che ci riesca, con la destra che al Senato cerca ogni pertugio per mettere la vicenda ai voti subito e la deadline del 17 luglio, data del vertice del Consiglio europeo, alla vigilia del quale evitare un pronunciamento del Parlamento sarà più o meno impossibile. La vera domanda non è se Conte si deciderà a decidere. Su molti fronti dovrà farlo per forza. L’incognita è se governo e maggioranza saranno in grado di reggere a decisioni che per forza scontenteranno qualcuno. Anzi molti.