Il Decreto fiscale c’è, approvato ieri mattina con Padoan assente, ma come al solito è «salvo intese». Potrà cioè cambiare e cambierà. È l’antipasto della legge di bilancio che il governo licenzierà lunedì in modo da inviarla a Bruxelles per il semaforo verde europeo e poi inoltrarla al Senato, che inizierà a discuterla dal 27 ottobre.

Il decreto prelude a una manovra che sarà «elettorale» in un senso diverso dal solito. Non ci saranno i regalini a pioggia che tanto amava Matteo Renzi e che, se possibile, non avrebbe certo sdegnato con le elezioni politiche alle porte. Ma possibile non è, il congelamento dell’aumento dell’Iva essendo la priorità assoluta. Il decreto fiscale è quindi «elettorale» non per quel che fa ma, al contrario, perché prelude a una manovra che cercherà di fare il meno possibile. Se non si possono comprare voti che almeno non li si respinga con misure dolorose.
La manovra ha come voce di gran lunga principale la sterilizzazione delle clausole per l’aumento dell’Iva. Al momento è stanziato un miliardo ma certo non basterà per evitare un aumento dell’aliquota di 15,7 miliardi. L’impegno c’è. Resta da vedere come il governo intenda assolverlo.

Nel complesso la legge di bilancio si aggirerà sui 15 miliardi ma il grosso, grazie all’aiuto di un’Europa che con le elezioni (e i barbari) alle porte capisce la necessità di chiudere gli occhi, andrà a deficit: 10 miliardi. Bisogna trovarne altri 5 e passa. La voce d’entrata più cospicua è la rottamazione bis delle cartelle fiscali: dovrebbe portare un miliardo e mezzo.

La nuova rottamazione riguarderà i ruoli fiscali e contributivi pendenti dal primo gennaio al 30 settembre 2017, che potranno essere saldati in 5 rate tra il luglio del prossimo anno e il febbraio 2019. La richiesta d’adesione dovrà essere inoltrata entro il prossimo 15 maggio. Infine chi quest’anno avesse saltato le rate di luglio e settembre potrà mettersi in regola entro fine novembre.

Una delle voci essenziali del decreto è la norma contro le scalate ostili che il ministro Calenda inseguiva da tempo. L’approdo farà senz’altro piacere, tra gli altri, a Silvio Berlusconi: proprio la sua azienda era stata fatta oggetto mesi fa di una scalata ostile. La norma prevede che oltre l’accumulo di un certo numero di azioni gli investitori chiariscano con apposita missiva le loro intenzioni. Il passaggio antiscorrerie non riguarda direttamente Telecom Italia, che sarà invece sul tavolo dei ministri al momento di varare la legge propriamente detta o giù di lì. Si tratta di formalizzare e precisare nei dettagli la regola del Golden Power, da far valere per le aziende di valore strategico come Telecom, controllata oggi dalla francese Vivendi.

Il decreto elenca poi una serie di interventi urgenti. Il primo è la proroga con tanto di aumento del prestito-ponte ad Alitalia. La scadenza, già fissata per l’inizio di novembre, slitterà sino al settembre 2018, ma in questo lasso di tempo sarà necessario trovare un acquirente. Auspicabilmente evitando lo «spezzatino».

Per le piccole e medie imprese il Fondo di garanzia istituito ieri prevede lo stanziamento di 550 milioni divisi in due anni, 350 subito, 200 nel 2018. Anche per il sud c’è un Fondo imprese, di 150 milioni. Cifre del genere, per due settori in tanto profonda sofferenza, sono tutt’al più una dichiarazione di buona volontà.

Le missioni all’estero per i migranti (cioè per fronteggiarne l’arrivo) incassano un milione all’anno per tre anni, a riprova che la scarsità è la cifra del decreto fiscale e della prossima manovra che hanno solo due imperativi categorici: evitare l’aumento dell’Iva e fare a meno di massacrare cittadini e contribuenti che potrebbero poi rivalersi nelle urne. Ma sul come portare a termine questa pur modesta missione il governo non ha ancora le idee chiare. Restano in campo l’obbligatorietà della fatturazione elettronica tra privati e la web tax, ma se ne riparlerà con la legge di bilancio o più probabilmente durante l’iter della stessa.