Callista Louise (Cally Lou) Gingrich è «under consideration» da parte di Donald Trump per la guida dell’ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede. A svelarlo, alla Cnn già lo scorso febbraio, era stato suo marito, l’ex-speaker della camera Newton Gingrich.

Dello stesso Gingrich si era parlato per l’alto incarico. «Newt» era in una rosa di candidati che comprendeva, tra gli altri, Ben Carson, il chirurgo poi nominato ministro delle questioni urbane, e Sam Brownback, governatore del Kansas, convertito al cattolicesimo nel 2002. In questi giorni il nome di Callista Gingrich ha ripreso a circolare sui principali media, anche in considerazione del prossimo arrivo a Roma, con visita in Vaticano, del presidente statunitense. Donald Trump incontrerà papa Francesco il prossimo 24 maggio.

Gingrich, con Rudolph Giuliani, è stato il principale «cane d’attacco» di Donald Trump nel corso della campagna elettorale, anche nei momenti più difficili, nei quali l’establishment repubblicano gli aveva voltato le spalle, come nei giorni dell’audio «a luci rosse» che sembrava averlo definitivamente messo fuori gioco. Come Giuliani, poco dopo la vittoria di Trump, era stato indicato per l’incarico più importante nell’amministrazione, quello di segretario di stato.
Come poi s’è visto, The Donald, anche in questo, ha stupito tutti, operando scelte molto diverse dalle attese.

Luterano, poi battista, Gingrich si è convertito nel 2009 al cattolicesimo, la fede di Callista Bisek, cinquantenne, con cui ha convissuto per nove anni, prima di divorziare dalla seconda moglie. Callista è di famiglia conservatrice con radici polacco-svizzere. Gingrich – erano i tempi della presidenza di Bill Clinton – fu il primo repubblicano, dopo quarant’anni, ad assumere la carica di Speaker of the House, e fu da quella postazione un irriducibile avversario del presidente democratico. Fu lui a lanciare il Contract for America, un «manifesto» politico di scarsa fortuna allora, ma poi molto imitato, anche in Italia.

In corsa nelle primarie presidenziali repubblicane nel 2012, ha dato un notevole sostegno a Trump nella campagna del 2016, non solo come suo fidato «surrogate» nei rapporti con i media ma anche come consigliere dietro le quinte. Tanto che, oltre che come segretario di stato, si era parlato di lui in precedenza come suo possibile vice nel ticket presidenziale.

Cally Lou è presidente di Gingrich Productions, un’azienda di produzione multimediale da lei fondata col marito Newt. Produce documentari storici e sociali, pubblica libri e newsletter, organizza eventi e conferenze. Tra i film prodotti da Gingrich Productions Nine Days That Changed the World – un tributo al ruolo avuto da papa Giovanni Paolo II nella caduta del comunismo nell’Europa dell’est e nella nascita di Solidarnosc. Cally Lou è nel coro della Basilica del santuario nazionale dell’Immacolata Concezione di Washington, la più grande chiesa cattolica d’America. Con il suo coro ha anche cantato nella chiesa romana di Santa Maria Sopra Minerva.
A Callista Gingrich toccherà la missione – impossibile? – di «connettere» la Casa Bianca di Trump con la Santa Sede di papa Bergoglio. Due personaggi agli antipodi, anche se la storia dei loro rapporti segnava un inizio promettente, dopo che il cardinale argentino fu eletto alla successione di Benedetto XVI. Nel natale 2013 The Donald diffuse uno dei suoi tweet: «Il nuovo papa è un uomo umile, molto come me, il che probabilmente spiega perché mi piace tanto».

Poi, come è noto, la vicenda del muro lungo i confini del Messico ha alzato una barriera tra i due, una distanza consolidata dalle recenti misure sull’ingresso di cittadini provenienti da sette paesi musulmani. Tuttavia il papa, nell’accettare l’idea dell’incontro, si è posto nella disponibilità all’ascolto. Con Trump non mi permetto di fare «calcoli politici», «parleremo, ognuno dirà la sua, ascolteremo», «c’è sempre qualche porta un po’ aperta», ha detto ai giornalisti sull’aereo nel ritorno a Roma da Fatima.

Di fatto, Callista Gingrich, più «ideologica» e anche in virtù dei suoi legami diretti con il presidente, sarà a Roma la rappresentante principale del nuovo corso americano, più dello stesso ambasciatore presso lo stato italiano, il pragmatico Lewis «Lew» Eisenberg, 75 anni, finanziere e investitore newyorkese, repubblicano moderato. Una carriera in Goldman Sachs, tesoriere dei repubblicani, e uomo di raccordo dei settori conservatori della comunità ebraica con il Grand Old Party, e poi personaggio-chiave, nella fase cruciale della campagna presidenziale come presidente del Trump Victory Fund, il coordinamento tra la raccolta fondi repubblicana e quella trumpista, Eisenberg ha avuto in premio villa Taverna, il buen retiro dove, come molti dei suoi predecessori succedutisi dopo la guerra fredda, curerà gli affari suoi nel Belpaese più che quelli di stato.