«Una vicenda semplicemente disgustosa», taglia corto il segretario veneto della Lega, Flavio Tosi. E se lo dice lui che non ha peli sulla lingua e che rappresenta il futuro, deve pensarla allo stesso modo anche Roberto Maroni, il rappresentante delle istituzioni (è presidente della Regione Lombardia) che oggi per la prima volta sfilerà al corteo del 25 aprile a Milano. Poco male. Ormai c’è un posto al sole per tutti al tempo delle larghe intese, anche per chi fino a pochi mesi fa si faceva amministrare il «tesoro» da un certo Francesco Belsito, l’ex tesoriere che ormai per i leghisti rappresenta il passato e che ieri è stato arrestato dalla Guardia di Finanza per associazione a delinquere e truffa aggravvata in relazione all’inchiesta sui fondi del Carroccio.

Da qui il disgusto di Tosi e l’alzata di spalle di Matteo Salvini, l’enfant prodige che guarda sempre avanti, perché gli conviene: «Per fortuna è soltanto una pagina, una brutta pagina, di un passato che non ritornerà. La Lega ha cambiato, ha ripulito, è ripartita e sta lavorando bene». A rileggerla, effettivamente, pare proprio brutta, anche se forse hanno ragione Tosi e Salvini, la presunta fine delle Lega sembra il passato remoto e del resto il marcio che ha travolto il partito di Bossi non ha minimamente intralciato la grande restaurazione in corso in queste ore (roba che nemmeno dopo il congresso di Vienna).

Ora ci si può impressionare, volendo, per il fatto che Riccardo Bossi, il figlio, abbia acquistato uno yacht da 2,5 milioni di euro sottraendo fondi dalle casse del partito con la complicità del tesoriere – secondo l’ordinanza del gip. Comunque, l’autocoscienza leghista ci ha già messo una pietra sopra. Come argomenta Edoardo Rixi, consigliere regionale in Liguria, «le imputazioni mosse a Belsito dalla magistratura dimostrano una volta di più che in questa brutta storia la Lega nord è la parte lesa e che con le “scope di Bergamo” Maroni ha iniziato una indispensabile opera di pulizia».

L’ex tesoriere della Lega era già indagato per appropriazione indebita e truffa aggravata nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Robledo e dai pm Pellicano e Filippini. La stessa inchiesta, che sembrava aver spazzato via la Lega, ha portato alla svolta di ieri mattina con gli arresti di Belsito per l’ipotesi di associazione a delinquere (avrebbe cercato di depredare il tesoro del Carroccio, una truffa da 8 milioni di euro). Per il gip Belsito faceva parte di «un comitato d’affari in grado di influenzare le decisioni di istituzioni e grandi imprese pubbliche e private», potere che eserciterebbe anche oggi, dopo l’espulsione dal partito, grazie alle sue relazioni personali. Gli inquirenti avrebbero trovato un riscontro in alcuni rapporti sospetti con multinazionali attive nel settore ospedaliero. Ipotesi che sembra confermata dalle dichiarazioni del legale di Belsito: «L’arresto non è relativo alla questione delle spese del partito, ma riguarda società e movimentazioni di denaro. Siamo meravigliati che l’arresto arrivi ora, ad un anno dall’interrogatorio».

Nell’ambito della stessa inchiesta, sempre ieri, sono stati arrestati anche Stefano Bonet, il personaggio che fu pizzicato per gli investimenti in Tanzania con i soldi della Lega, e Romolo Girardelli, il procacciatore d’affari già indagato nello stesso filone d’inchiesta. I due, intercettati al telefono il 27 gennaio 2012, avrebbero cercato di stabilire contatti con Roberto Maroni scavalcando Belsito.

Il capo della Lega però non sembra granché preoccupato. Oltre a chiedere i danni a Belsito – la Lega infatti si costituirà parte civile – Roberto Maroni sembra aver altro da tweettare: «Su Amato il presidente Napolitano ha dato ascolto alla Lega. Bene. Incontreremo Enrico Letta per sentire cosa propone per il nord».