«La fotografia non è un crimine. Liberate Abul Kalam». Partito da Dacca, l’appello per liberare il fotografo trentacinquenne ha raggiunto attivisti, accademici, giuristi, avvocati e personalità della cultura di tutto il mondo. Nato a Maungdaw in Myanmar, da 28 anni residente in un campo profughi-Rohingya nel sud-est del Bangladesh, Abul Kalam è stato fermato il 28 dicembre 2020 dai poliziotti nel campo rifugiati di Kutupalong, trattenuto per circa 50 ore e poi, sembra, trasferito in una caserma di Ukhya e da lì in prigione.

Secondo alcune ricostruzioni, i reati che gli vengono imputati risalirebbero a molti mesi fa, quando avrebbe intralciato il lavoro dei funzionari di polizia. La ragione più recente ha a che fare con il suo lavoro di documentazione sulle condizioni dei Rohingya, grazie al quale proprio poche settimane fa si è guadagnato due premi della «Rohingya Photography Competition»: il 28 dicembre ha fotografato i 13 bus con i quali le autorità stavano trasferendo altri 1.084 Rohingya, dopo i 1.600 circa trasferiti all’inizio di dicembre.

Dai campi al confine con il Myanmar al porto di Chittagong, da lì verso la destinazione finale: l’isolotto di Bhasan char (o Thengar char), «l’isola fluttuante», un isolotto instabile, emerso dalle acque meno di 20 anni fa, esposto alle forze della natura nel golfo del Bengala. È qui che il governo bangladese intende trasferire 100.000 rifugiati Rohingya di quel 1 milione circa che sono ospitati nei campi al confine con il Myanmar.

Per farlo, ha speso più di 250 milioni di euro per trasformare l’isola in una città «ospitale e sicura», ripetono convinti al ministero degli Esteri. Ma le Nazioni unite e molte organizzazioni per i diritti umani contestano la decisione, chiedono un’indagine indipendente, denunciano le intimidazioni, le minacce, un processo opaco.

L’Alto commissariato per le Nazioni unite ha fatto sapere di seguire la vicenda con attenzione e di aver assegnato un avvocato ad Abul Kalam, mentre la lista dei firmatari della lettera-appello per la sua liberazione si allunga di giorno in giorno. Oltre all’artista cinese Ai Weiwei, all’avvocatessa bangladese Sara Hossain e a Bianca Jagger, tra i firmatari c’è anche Shaidul Alam, il più rinomato fotografo del Paese, voce dissidente, finito in carcere per 107 giorni con l’accusa di aver danneggiato l’immagine del Paese prima di essere rilasciato, nel novembre 2018, grazie a una mobilitazione internazionale.