Sembra che Anis Amri, il 24enne tunisino ritenuto l’autore della strage del 19 dicembre e poi ucciso in un conflitto a fuoco a Sesto San Giovanni nella notte del 23 dicembre, abbia fatto ben poco per far perdere le sue tracce, prima e dopo aver lanciato un tir contro un mercatino di natale uccidendo dodici persone.

Forse perché era già noto ai servizi di mezza Europa, o forse perché sapeva che tanto doveva morire. La sua presenza è stata rilevata dalle telecamere delle stazioni di mezza Europa. Era già stato segnalato da un anno e mezzo a tutte le polizie come soggetto pericoloso e oggi il suo cellulare abbandonato sul camion è una miniera di informazioni per gli inquirenti di Germania, Olanda, Francia e Italia, i quattro paesi attraversati per cercare di fuggire. Sul suo conto, quindi, non dovrebbero esserci più segreti.

L’analisi dei tabulati ieri ha spinto la polizia tedesca ad arrestare un suo presunto complice. Si tratta di un tunisino di quarant’anni, la notizia è stata data dal settimanale tedesco Der Spiegel che cita fonti delle forze di sicurezza. Il sospetto vive a Berlino. La polizia federale tedesca ieri ha perquisito la sua abitazione e alcuni negozi forse di sua proprietà. Il fermo è stato confermato dalla procura federale, ma non si sa quanto sia provvisorio. Probabilmente un trattamento analogo verrà riservato a tutte le persone segnate sull’agenda dello smartphone di Anis Amri.

Secondo un’altra indiscrezione, pubblicata al settimanale tedesco Focus, dieci minuti prima di compiere l’attacco avrebbe inviato alcune fotografie e messaggi vocali a persone ritenute “simpatizzanti islamisti” (tra cui il primo arrestato che secondo gli investigatori potrebbe essere coinvolto nella strage). Un comportamento che, se confermato, fa pensare a un terrorista poco professionale.

Il versante francese delle indagini intanto si arricchisce di particolari ancora più inquietanti sui percorsi di Anis Amri. Secondo Radio France International (Rfi), che cita fonti della polizia giudiziaria tedesca, il terrorista aveva contatti diretti con alcuni islamisti presenti sul territorio francese e avrebbe anche cercato di procurarsi dei fucili mitragliatori di grosso calibro e degli ordigni. In seguito ad intercettazioni telefoniche, il soggetto era stato segnalato come potenzialmente pericoloso dal febbraio 2016 e di conseguenza messo sotto sorveglianza. La stessa segnalazione lo scorso maggio sarebbe arrivata anche nelle stanze dell’antiterrorismo di Roma – che comunque già conosceva Anis Amri – con la raccomandazione di trattenerlo in caso di controllo e segnalarlo alle autorità tedesche.

Che fosse quasi una vecchia conoscenza delle polizie europee lo rivela anche la Sueddeutsche Zeitung basandosi su documenti dell’antiterrorismo tedesco: sette volte gli investigatori avrebbero discusso di lui e due volte in particolare si chiesero se “progettasse concretamente” un attentato in Germania. Ma la risposta era sbagliata: “Improbabile”. Eppure già nel febbraio 2016 (intercettazione) il tunisino avrebbe cercato di contattate l’Isis offrendosi per un attentato suicida.

Sembra che anche l’Italia in questo inutile palleggio di informazioni abbia fatto la sua parte, con un certo anticipo. Il 17 febbraio 2016, su richiesta delle autorità tedesche che stavano vagliando la richiesta di Amri del permesso di soggiorno, ha spedito in Germania il fascicolo relativo al tunisino. Ancora prima, il 23 giugno 2015, la questura di Palermo aveva segnalato ai paesi europei che Amri era “persona non gradita” ma non espellibile perché la Tunisia non aveva recepito la richiesta.

Anche dall’Olanda, intanto, arriva una conferma della sua presenza: è stato “visto” alle 11,30 del 21 dicembre da una telecamera della stazione di Nijmegen, città olandese al confine con la Germania a 40 chilometri da Emmerich dove era registrato. Era solo e “non ci sono indizi che abbia avuto contatti con altre persone”, ha precisato il portavoce della procura di Nijmegen.

Le indagini proseguono anche in Italia. La polizia ieri ha eseguito alcune perquisizioni in non meglio precisati “ambienti del radicalismo islamico”. Si tratterebbe di persone con cui il tunisino ha avuto a che fare durante i quattro anni di detenzione in Italia.