Due arresti eccellenti per il massacro di Iguala, in Messico. Si tratta dell’ex sindaco Luis Abarca e di sua moglie Maria de los Angeles Pineda, sorella di tre narcotrafficanti legati al cartello dei Guerreros Unidos. Una banda coinvolta nell’attacco a una mobilitazione studentesca, condotto il 26 dicembre a Iguala con la complicità della polizia locale.

In quell’occasione, morirono 6 studenti (uno dei quali presentava evidenti segni di tortura), altri 25 rimasero feriti e 43 risultano da allora scomparsi. Secondo le testimonianze degli abitanti e quelle di alcuni arrestati, un gruppo di 17 ragazzi è stato consegnato ai narcotrafficanti dalla polizia e questi – a loro dire credendoli appartenenti a una banda rivale – li hanno uccisi e bruciati.

Decine di altri studenti sono stati visti mentre venivano caricati sul furgoni di polizia. E un video che circola in rete, girato con un cellulare, ha registrato dall’interno l’attacco armato agli studenti, i morti , i feriti e le loro grida di aiuto. Il sindaco e la moglie sono accusati di essere i mandanti della mattanza, in combutta con il governatore dello stato di Guerrero, ancora in fuga.

Nei giorni scorsi, i Guerreros hanno fatto trovare un messaggio diretto al presidente Enrique Peña Nieto. Hanno sostenuto che i 43 «normalistas» (così chiamati per l’appartenenza alle combattive scuole rurali messicane) sono vivi. Hanno denunciato per nome e cognome molti politici sul libro paga delle mafie. I Guerreros sono una scissione del cartello dei fratelli Beltran Leyva, uno dei più attivi nello stato. Una zona in cui l’intreccio di violenza e malaffare guida da gran tempo l’agenda politica, una pratica purtroppo diffusa ai più alti livelli di potere in Messico.

Secondo il ministro degli Interni, Osorio Chong, dall’assunzione di incarico di Nieto (alla fine del 2012) a maggio del 2014 risultano scomparse 8.000 persone, 22.000 se si somma anche la precedente presidenza di Felipe Calderon. La lotta per bande s’incunea nelle forti disuguaglianze sociali rinnovate da tutte le gestioni politiche e alimenta il grosso business della sicurezza guidato da Washington coi relativi fiumi di denaro erogati per le soluzioni militari.

Peña Nieto aveva promesso di mettere un freno allo strapotere dei militari nella lotta contro i cartelli del narcotraffico. Ma di certo non ha smesso di circondarsi di elementi tutt’altro che puliti. Secondo un’inchiesta di Amnesty International, nel 2013 oltre 1.500 persone hanno denunciato per tortura e violenze polizia o militari, e il 64% dei messicani ha dichiarato che teme di essere torturato dalle forze dell’ordine.

E se pure l’elevatissimo livello degli omicidi è sceso rispetto all’acme della guerra dei cartelli (allora 23 assassinii ogni 100.000 abitanti, 19 casi ogni 100.000 abitanti nel 2013), le misure neoliberiste adottate dal governo Nieto non hanno certo disinnescato tensioni sociali e problemi strutturali. E il paese resta uno dei più pericolosi al mondo per le donne e per i giornalisti.

Gli studenti della Normal Rural di Ayotzinapa, repressi a Iguala, protestavano contro la privatizzazione della scuola pubblica, così come stanno facendo quelli dell’Istituto Politecnico Nacional, in agitazione da tre settimane. Ora il governo ha deciso di trattare, ma le mobilitazioni per riportare a casa i ragazzi scomparsi non si fermano. E 43 è il numero che torna in ogni iniziativa: dalle ore di digiuno e di preghiera di diverse organizzazioni religiose, che durerà fino a domani, alla marcia denominata «43×43», partita da Iguala e diretta a Città del Messico.

Oggi, terza giornata di protesta nazionale: anche per chiedere le dimissioni del presidente Nieto e un cambiamento strutturale in Messico: «Non dev’esserci impunità per nessuno e neanche per Peña Nieto», ha detto Manuel Lopez Obrador, ex candidato presidenziale della sinistra, che non ha riconosciuto la vittoria di Nieto nel 2012. Secondo Human Rights Watch, questa è la crisi più seria che il Messico affronta dal 1968 sul piano dei diritti umani. In quell’anno vi fu il massacro di Tlatelolco che i «normalistas» di Iguala si apprestavano a ricordare.