Con Essam el Arian è stato arrestato anche l’ultimo dei leader della Fratellanza, ricercati dopo lo sgombero di piazza Rabaa el Adaweya del 14 agosto scorso. Ha iniziato la sua militanza come attivista delle associazioni universitarie, Gamaat al Islamiyya negli anni Settanta. Vicino ai movimenti giovanili islamisti, nel 2009 ha sostituito nel Consiglio direttivo (Majlis Shura) del movimento i riformisti Ibrahim al Zaafarani e Abdel Monim Aboul Fotuh. Da allora, come scrive il docente dell’Università di Parigi Sciences-po Gilles Kepel, Arian «ha scelto l’apparato contro la riforma democratica dell’organizzazione alla quale veniva associata in genere la sua generazione». Dopo le rivolte del 2011, è stato nominato vice segretario di Libertà e giustizia, partito della Fratellanza, partecipando sempre a dibattiti tv, divenendo così una figura carismatica della confraternita.
Abbiamo incontrato spesso Arian: l’ultima volta, lo scorso luglio, nel tragico sit-in di Rabaa el Adaweya, dove ha passato 48 giorni consecutivi incoraggiando i sostenitori del movimento a manifestare. Nell’intervista rilasciata al manifesto, apparsa il primo agosto scorso, Arian continuava ad accusare di uso eccessivo della violenza le forze di sicurezza. «Gli attacchi continui della polizia non possono fare altro che rafforzarci. Si comportano come Nasser, Mubarak e Sadat: nella storia questo non ha fatto altro che accrescere il nostro sostegno», diceva Arian, nelle stesse ore in cui il ministro dell’Interno avrebbe disposto lo sgombero forzoso dell’assembramento, posticipato dopo la fine del Ramadan e che ha causato oltre 700 vittime.
Il medico è stato prelevato ieri dal suo appartamento nel quartiere residenziale del Cairo, Masr el Ghedida. Come al solito è apparso ironico di fronte alle telecamere. «Nessuno può sfuggire al suo destino, sarò fuori di prigione quando finirà il colpo di stato», ha detto Arian dopo l’arresto. Ma non tutto rema contro il movimento, i tre giudici che presiedevano il processo ai leader del movimento in prigione, tra cui Mohammed Badie e Khairat al Shater, accusati di incitamento all’assassinio di manifestanti, hanno abbandonato l’incarico per «ragioni di coscienza». E così si apre una nuova fase nell’eterno scontro tra Fratellanza e sistema giudiziario, che aveva visto le toghe in prima fila nella destituzione, voluta dai militari, dell’ex presidente Morsi il 3 luglio scorso. In questo clima, il 4 novembre l’ex presidente Mohammed Morsi sarà giudicato con l’accusa di omicidio e incitamento alla violenza. Mentre è stata fissata per il 6 novembre la data in cui il tribunale del Cairo dovrà pronunciarsi sul ricorso dei Fratelli musulmani contro la decisione di metterne al bando il movimento.
Il clima torna incandescente. Le forze di sicurezza di Giza hanno arrestato nove esponenti della Fratellanza con l’accusa di pianificare attentati in occasione del processo a Morsi. È stato invece spostato il processo ai quattro poliziotti responsabili della morte per «asfissia» di 37 islamisti nel loro trasferimento in carcere nell’agosto scorso. Ma la Fratellanza non molla, avverte il capo delle forze armate Abdel Fattah Sisi prepara la sua candidatura alle presidenziali e organizza manifestazioni nelle università. Tanto che il prremier egiziano Hazem el Beblawi ha definito «imperativo» ristabilire la sicurezza nelle università dopo una nuova giornata di scontri all’ateneo di al Azhar al Cairo, adiacente a piazza Rabaa. Ancora una volta, le forze di sicurezza egiziane sono intervenute ieri con il lancio di lacrimogeni in seguito allo scoppio di scontri nell’Università di al Azhar tra sostenitori e oppositori di Morsi.