«I poliziotti, una quindicina, in abiti civili sono arrivati intorno alle cinque. Altri, in uniforme, erano in strada. Dopo aver perquisito casa, hanno informato Nabil che era in stato di arresto. Mio marito ha chiesto spiegazioni, di sapere per quale ragione intendevano arrestarlo. Uno dei poliziotti ha risposto che avrebbe saputo tutto in caserma. E l’hanno portato via». È il racconto fatto al manifesto da Sumaiya Rajab dell’arresto del marito, Nabil Rajab, noto attivista bahranita dei diritti umani, già detenuto più volte, avvenuto ieri all’alba nella sua abitazione a Bani Jamra, alle porte della capitale Manama. «Nabil ha potuto telefonarmi e rassicurarmi sulle sue condizioni – ha aggiunto ieri sera Sumaiya Rajab – mi ha detto che non ha subito violenze (da parte della polizia, ndr) però non ha potuto incontrare il suo avvocato e, soprattutto, che non gli hanno ancora spiegato quali accuse sono dietro il suo arresto. A questo punto temo anche per me e il resto della famiglia, non posso escludere nulla».

L’arresto di Nabil Rajab è avvenuto dopo la decisione presa da re Hamad bin Isa al Khalifa, alleato di ferro di Stati Uniti, Gran Bretagna e Arabia saudita, di impedire la partecipazione di una delegazione bahranita alla 32esima sessione a Ginevra del Consiglio dell’Onu per i Diritti Umani. Segue inoltre la scelta fatta la scorsa settimana dalla giovane attivista Zaynab al Khawaja di andare in esilio in Danimarca per evitare una pesante condanna per oltraggio alla monarchia e presunte «attività sovversive». Zaynab al Khawaja era stata improvvisamente scarcerata il 31 maggio per «motivi umanitari», più probabilmente per pressioni giunte dall’esterno. L’attivista, madre di due figli piccoli, è stata posta di fronte a bivio: ritornare presto in cella per diversi anni o andare in esilio in Europa grazie al suo passaporto danese. Con l’arresto di Nabil Rajab tutte le principali personalità dell’opposizione e della società civile bahranita, protagoniste della primavera di Piazza della Perla nel 2011, sono in carcere o in esilio.

«Lo scopo di re Hamad è di mettere a tacere ogni voce che denuncia le violazioni dei diritti umani in Bahrein. Le misure punitive sono destinate ad intensificarsi», prevede Yousef al Muhafdah, del Centro del Bahrain per i Diritti Umani. Un segnale preciso è stata la recente condanna, raddoppiata in appello, da 4 a 9 anni, inflitta ad Ali Salman, che guida il partito moderato Wefaq, la principale forza di opposizione, che pure ha sempre evitato lo scontro frontale con la monarchia e gli apparati di sicurezza. Al Consiglio dell’Onu dei Diritti Umani sono stati elencati abusi e violazioni compiute dal regime – inclusa la revoca della cittadinanza bahranita a 250 oppositori – ma le denunce non porteranno a risultati concreti sino a quando Washington, Londra e Riyadh continueranno a coprire re Hamad, un prezioso alleato per il controllo del Golfo e dell’Iran.