Le strade si sono riempite subito: poco dopo l’arresto dei due co-sindaci di Diyarbakir in migliaia sono scesi in piazza in tutta la Turchia per protestare. Gultan Kisanak e Firat Anli, del Partito Democratico dei Popoli (Hdp), opposizione di sinistra pro-kurda, sono stati portati via nella notte tra martedì e mercoledì: la Kisanak, primo sindaco donna della città, è stata presa all’aeroporto mentre rientrava dalla capitale; Anli a casa sua.

Entrambi sono in stato di fermo, fa sapere il procuratore, perché accusati di sostegno a organizzazione terroristica, di aver tenuto comizi a sostegno del Pkk e aver trasportato con auto del comune i cadaveri di combattenti e manifestanti uccisi dalla polizia.

Gli arresti fanno parte della più ampia campagna lanciata a settembre contro le amministrazioni locali kurde, in particolare quelle guidate dall’Hdp: 24 comuni sono stati commissariati, i sindaci sospesi. Così, dopo l’operazione militare iniziata a luglio 2015 che ha distrutto il sud est e migliaia di vite, il presidente Erdogan affossa ora la partecipazione politica.

Ieri forti sono state le proteste a partire da Diyarbakir dove centinaia di persone hanno marciato verso la sede del comune e cominciato un sit-in a tempo indeterminato. La polizia ha cercato di disperdere la folla lanciando gas e usando i cannoni ad acqua. Manifestazioni si sono tenute anche a Istanbul, Van, Smirne, Ankara, Sirnak, decine gli arrestati. Internet è stato sospeso in tutto il sud est per alcune ore,una tattica – denunciano gli attivisti – per impedire di organizzare le proteste.

Ma la tensione è alta anche oltre confine, in Siria, dove la strategia anti-kurda di Ankara fa il paio con quella interna. Ieri Erdogan è tornato sull’operazione terrestre in corso da fine agosto: andremo avanti – ha detto – fino alla presa di al-Bab. Non certo una comunità qualsiasi: lungo la frontiera occidentale, è a metà tra Jarabulus e Aleppo. Non solo, quindi, spezzerebbe l’agognata continuità territoriale tra i cantoni kurdi di Rojava, ma porterebbe truppe turche e forze anti-Assad (unità dell’Esercito Libero Siriano addestrate e armate in Turchia) a 35 chilometri dalla città che potrebbe decidere la guerra.

Per prepararsi il terreno il governo turco ha accusato l’esercito siriano di aver colpito le opposizioni a sud est di Dabiq, la città appena strappata all’Isis. La reazione del fronte pro-Assad è giunta subito: uno dei comandanti delle milizie libanesi, iraniane e irachene ha minacciato Ankara di rispondere con la forza nel caso di un avvicinamento ad Aleppo. Intanto, sulla Russia è caduta una nuova accusa: aver bombardato ieri una scuola nella provincia di Idlib. Almeno 22 morti, di cui 14 bambini.