Lavoravano come operai in un’azienda della Bassa bresciana. In rete avevano «postato» minacce in italiano e arabo. E poi si erano concentrati su una base militare. Un pakistano di 27 anni e un tunisino di 35 anni sono stati arrestati dalla Digos di Milano con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale di eversione dell’ordine democratico. Residenti a Manerbio (Brescia), si erano attivati ad aprile: non sembrano una «cellula», tuttavia avevano identificato obbiettivi come la stazione ferroviaria e una base militare.

Fra loro parlavano in italiano: intercettati e «seguiti» dalla Polizia postale, come risulta dall’indagine coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli e dal pm Enrico Pavone. Le ordinanze di custodia cautelare sono state firmate, invece, dal gip Elisabetta Meyer.

Documenti regolari, uno risulta residente a Milano ma domiciliato in provincia di Brescia. Entrambi con un lavoro: uno operaio e manovale, l’altro nel settore delle pulizie.

Una coppia «votata» però al Califfato, almeno nei termini della propaganda in presa diretta nel profilo Internet. In base all’inchiesta della magistratura di Milano, è opera loro la foto di luoghi-simbolo a Milano e Roma con il minaccioso riferimento in arabo a «Islamic State».
Usando social in Internet, si sono fatti notare: le prime segnalazioni alla Polizia postale riguardavano i messaggi minatori. Il 26 aprile scorso nel web si notava la propaganda jihadista: «Siamo nelle vostre strade», con l’immagine di munumenti e luoghi simbolo come il Colosseo a Roma o il duomo di Milano. «Siamo nelle vostre strade. Siamo ovunque. Stiamo localizzando gli obiettivi, in attesa dell’ora X»: tutto scritto a penna su foglietti in italiano, arabo e francese. Probabilmente, esibiti dalla stessa persona che scattava le foto. In uno di questi messaggi in Internet, insieme a «Islamic State in Rome» appare anche l’esplicito riferimento a Omar Moktar (leader di Al Qaeda) e al cosiddetto «leone del deserto», cioè l’eroe nazionale della Libia che negli anni ’20 guidava la guerriglia contro gli italiani.

Intanto, dal Veneto arriva un’altra notizia. Una ragazza di 19 anni, di origini marocchine, risulta essere partita dalla provincia di Padova. Con un volo da Bologna, ha raggiunto la Siria convinta di essere pronta a combattere il jihad con il Califfato.

Cronologia delle chat, traffico dati del computer portatile, conversazioni in Whatsapp. Una mole di riscontri su cui si stanno concentrando le indagini dei carabinieri del Ros, come si legge nei quotidiani locali. L’allarme era scattato in base alla denuncia di scomparsa presentata dai genitori marocchini. La figlia era iscritta all’istituto tecnico: ora si raccolgono le testimonianze di insegnanti e compagni di classe.

In Veneto, per altro, si era già registrato il caso di Ismar Mesinovic, imbianchino bosniaco che da Longarone (Belluno) era partito per la Siria nel nome del Califfo. Uno dei primi combattenti stranieri, morto in battaglia a gennaio 2014.