Alla Paramount dopo i test screening hanno avuto patemi tali che per scongiurare gli attacchi degli integralisti hanno deciso di aggiungere al film un avvertimento sulla «libera interpretazione del testo». E lo slogan scelto per promuovere Noè (in Italia esce il 10 aprile ma ha un’anteprima sabato 5 aprile al teatro Petruzzelli di Bari come evento inaugurale del Bif&st) non si direbbe frutto di un reparto marketing pieno di fiducia: «Se vi sono piaciuti il Gladiatore e Titanic – allora andrete pazzi per Noè». Ma il film di Darren Aronofsky non è né un peplum patinato né un disaster-meló. Si tratta piuttosto di un oggetto singolare, una narrazione allegorica ma al contempo drammatica del noto «blockbuster» dell’antico testamento. Gli uomini, figli di Caino, hanno meritato l’ira funesta del creatore. Noè, mistico e ascetico, è il prescelto dal creatore per la missione impossibile: presiedere al genocidio salvando le creature innocenti. Noè ci si butta anima e cuore: la sua deriva mistica si incupisce e sfocia nella foga di un reverendo Jones all’opera in Guyana…..Contro ogni pronostico il regista di Wrestler e Cigno Nero crea un’opera mitologica sottraendo i testi sacri al dogma e restituendoli alla dimensione mitica e poetica. Lo abbiamo incontrato a Los Angeles.

Perché questo film?

Credo che la storia di Noè sia stata ridotta in gran parte ad una specie di filastrocca per bambini. Ma la versione originale in realtà e assai più intensa, è la storia della prima apocalisse, la fine del mondo. Quindi volevo scuotere le aspettative. Sin dall’inizio volevo ambientarla in uno sfondo assolutamente fuori dal tempo, un luogo radicalmente diverso dal nostro. Nella bibbia si parla di un pianeta senza arcobaleni e uomini ultracentenari, con angeli giganteschi sulla terra. Quindi abbiamo dovuto creare un mondo fantastico, mitologico. Ho chiesto ai miei collaboratori di immaginare qualcosa che sembrasse una galassia lontana, volevo evitare il clichè del vecchio signore in sandali nel deserto della Giudea – perché non è questo che è descritto nella Genesi. È qualcosa di molto più magico, quasi un sorta di Terra di Mezzo.

E con notevole ‘licenza poetica’, come si dice…

Esiste una antica tradizione nell’esegesi giudaica che si chiama Midrash ed è la pratica di ricercare meticolosamente il significato dei testi sacri leggendo fra le righe e studiando il significato delle singole parole. L’applicazione di queste storie arcaiche agli insegnamenti del presente fa parte della mia tradizione culturale. Questa storia biblica in particolare è profondamente mitologica e in quanto tale credo ci possa insegnare molto, nel modo in cui possiamo imparare ad esempio dalla storia di Icaro, e cioè non in un ambito letterale, ma in quello metaforico. Nessuno si lamenta perché sarebbe impossibile attaccare delle piume alle nostre braccia con la cera e volare vicino al sole, mentre tutti capiscono che la storia contiene delle verità su come la tracotanza eccessiva possa essere distruttiva. È il potere – a mio parere – di queste antiche storie, contengono idee che ci uniscono.

Perché proprio quella di Noè?

Noè racconta che siamo tutti discendenti di un peccato originale. Che abbiamo la possibilità di scegliere fra bene e male, e nel tempo di Noè gli uomini scelsero il male. È la ragione per cui «quel» mondo viene distrutto. E dopo il diluvio, con l’arcobaleno a Noè è stata concessa una opportunità e credo che oggi, con le acque che si stanno nuovamente alzando nel nostro mondo, questa possa essere letta come una parabola ammonitrice. Forse abbiamo anche noi la possibilità di salvare le cose importanti del nostro pianeta da un diluvio ambientale, o forse è troppo tardi. Viviamo in un’epoca spaventosa, il disastroso impatto sull’ambiente è davanti agli occhi di tutti. Non è solo il mutamento climatico ma l’inquinamento di sostanze chimiche, le recenti invenzioni che stanno avendo in impatto senza precedenti. Nel libro di Genesi è scritto che dobbiamo dominare il giardino ma anche prenderci cura di esso ed è ormai chiaro che stiamo fallendo nel secondo compito. Io voglio usare il potere mitologico di Noè per ricordarci che già millenni fa è stata raccontata una storia per avvertirci del pericolo che corriamo.

Utilizzando un testo religioso?

Io sono ateo ma questo non c’entra. Si potrebbe chiedere allora ‘perché’ fare un film sulle divinità nordiche? O perché sugli dei greci? E quindi perché non su quelli ebraici? Se tu fai un film su Ulisse ma tagli i Ciclopi, stai tagliando alcune delle scene migliori. Se tagli il volo di Icaro rimuovi un messaggio essenziale, se non metti il macigno che Sisifo deve spingere sulla montagna perdi una metafora incredibilmente forte per tutti noi. C’è qualcosa di fondamentale in Noè, qualcosa che tutti possono capire perché è una delle nostre storie più antiche che stiamo raccontando da millenni. E la storia del diluvio non appartiene solo alla nostra tradizione giudeocristiana. Gli aborigeni ne hanno una, così come i giapponesi, gli Indios delle Amazzoni. Nell’acqua c’è qualcosa di distruttivo e allo stesso tempo legato alla vita. Si tratta di allontanarsi dallo sterile dibattito storico se sia davvero successo o meno.

Più arte che dogma quindi?

Certo, è sempre una questione di interpretazione, avete visto la cappella Sistina? Beh, non c’è alcun ’momento ET’ nella bibbia, nessuna scintilla di vita passata da dito a dito, eppure non è difficile comprendere il senso e la bellezza di quel dipinto di Michelangelo. Certo, ogni versione artistica è forzatamente una interpretazione dell’artista. Ovviamente io credo nell’evoluzione delle specie ma anche nel potere poetico del racconto dei sei giorni della creazione. Esiste su un piano separato dalla conoscenza scientifica. A noi possono sembrare stupidi gli uomini che credevano che il mondo fosse piatto, ma al contempo immagino che in futuro, anche in nostri discendenti potranno compatire la nostra ignoranza.

E il senso della sua parabola?

Ciò che mi interessava di Noè è che si tratta della quarta storia del vecchio testamento. Prima c’è la bellezza della creazione, poi il peccato originale, poi il primo omicidio, quello commesso da Caino. Poi la bibbia salta dieci generazioni di cui non si dice nulla e d’improvviso siamo a Noè, con un Dio adirato che vuole distruggere ogni cosa. E dopo Noè c’è la torre di Babele, cioè gli uomini hanno continuato ad agire come prima. Ma allora perché distruggere il creato se poi succede la stessa cosa? È quello che ci ha interessato e ossessionato: in che modo tenere fede al testo e scoprirvi un significato più profondo? In che modo si rapporta alla fondamentale condizione umana? Il bene e il male sono entrambi in tutti noi. La storia di Noè è quella di un uomo che parte da uno stato di ira e brama di giustizia per giungere ad uno stato di pietà e perdono. Trovo straordinario riflettere sulle implicazioni che questa conversione può avere per tutti noi.